Se il giudice manda i bulli ...a messa

Due ragazzi, 15 e 16 anni, di Bassano del Grappa (Vicenza), sono stati condannati dal Tribunale dei minori di Mestre per aver fatto i “bulletti”. Il termine è di moda. Usiamolo dunque al diminutivo per la giovane età, per carità cristiana e per cercare di mitigare i misfatti dei due: estorsioni, piccoli furti, rapine, minacce, sempre ai danni di coetanei e talvolta di bambini. Il giudice minorile ha deciso di sospendere il processo a loro carico per un anno. Un anno di prova. Al termine del quale i due “bulletti” dovranno dimostrare di essersi ravveduti. Nel frattempo, per prima cosa, dovranno chiedere scusa alle loro vittime, poi fare volontariato, ottenere buoni voti a scuola, sostenere periodicamente colloqui con gli psicologi del servizio sociale e andare a Messa tutte le domeniche e le feste comandate. Così la decisione del giudice. E proprio quest’ultima imposizione, il dover andare a Messa, ha suscitato non poche polemiche, soprattutto in ambito locale. Il sindaco di Bassano del Grappa, Stefano Cimatti: “Sono sempre stato favorevole a pene alternative, ma la coercizione è cosa diversa. Non credo che si possa imporre la fede come pena”.

L’arciprete Renato Tomasi: “Nessun giudice o norma può imporre l’obbligo di andare a Messa e in ogni caso chi dovrebbe controllare la loro fede? Non credo che i parroci possano farlo”. Così le dichiarazioni ai giornali. Con tutto il rispetto per il primo cittadino e l’arciprete, non siamo d’accordo sulla conclusione delle loro valutazioni. Qui non è questione di fede. Né tanto meno di imposizioni o controlli in materia di fede. Il giudice ha imposto solo di andare a Messa, liberi poi i due ragazzi di andarci con lo spirito che vogliono, con fede o senza fede, credenti o non credenti. È indubbio, però, che la Messa, anche per chi non ha fede e dunque non crede nel mistero del sacrifico eucaristico, è pur sempre un momento di meditazione, di riflessione, di calma (per non dire educazione) imposta; se vogliamo anche di socialità, per quel partecipare insieme con l’assemblea a un qualcosa comunque di spiritualmente elevato che distoglie dal frastuono quotidiano e induce a più alti pensieri. Beninteso, per giovani che pensano a tutt’altro, quel dover star fermi per mezzora, compunti, composti, in religioso silenzio, sotto lo sguardo di altre persone e magari dover ascoltare una predica (osiamo sperare di quelle lunghe e noiose, per maggiore effetto), ebbene, tutto ciò può costituire, Dio mi perdoni!, una penitenza.

Ecco, ci siamo. Dove voleva arrivare il giudice. Le penitenze – questo tipo di penitenze – fanno sempre bene. A tutti. Principalmente ai giovani che amano fare i “bulletti”. E non è detto che, dopo la penitenza, qualcosa non resti dentro. Nella coscienza.

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