Scommesse, un buco nero nel campo

L’inchiesta sul cosiddetto calcioscommesse non finisce di stupire e, per molti versi, lascia sgomenti. Sembra che ogni giorno l’attività degli inquirenti faccia emergere fatti e nomi nuovi in una vicenda che coinvolge non soltanto i responsabili del malaffare, ma inevitabilmente i moltissimi appassionati di calcio, adulti e bambini, che tifano e sognano dietro a un pallone.Secondo le indagini ci sarebbe un sistema ben collaudato ed estremamente vasto, ramificato a livello internazionale, in grado di “aggiustare” le partite per favorire guadagni derivanti dalle scommesse. E il giro di affari è grande, per milioni di euro. Al di là del meccanismo del sistema, colpisce il coinvolgimento così “semplice” di diversi calciatori, protagonisti di un mondo che parrebbe dorato. Giovani che fanno un “mestiere” ambito dai ragazzini, ampiamente esaltato dai media, dove non mancano soldi e successo personale. Giovani uomini dei quali si direbbe che hanno tutto e che in questo frangente mostrano una fragilità e aspetti sconcertanti. Il caso di Cristiano Doni, il capitano atalantino osannato da un’intera tifoseria, simbolo di una squadra e di una città, che lo ha anche nominato cittadino onorario, ora coinvolto pesantemente nell’inchiesta sulle scommesse, è emblematico. Dalle stelle alle stalle, direbbe il detto popolare. Non tocca a noi entrare nel merito di un’inchiesta che sta ancora svolgendosi, né giudicare l’operato delle persone. Possiamo invece riflettere proprio su quell’elemento di fragilità appena ricordato e su come alcuni “incroci” così facili nella nostra società – soldi, potere, successo – siano in grado di disorientare. E come, di conseguenza, si mostri sempre più necessaria un’attenzione educativa nel mondo del calcio, a partire dagli inizi, dai ragazzini, che sognano di arrivare in alto. Non di rado – basta frequentare i campetti di periferia per accorgersene – spinti da genitori agguerritissimi, con un forte carico di attese. In questo mondo capita di essere travolti, nel bene e nel male. Si può essere ben presto coinvolti in un meccanismo che rende subito grandi, che fa guadagnare anche molto. Fa girare la testa. E magari perderla, travolti dalla sensazione del poter fare ogni cosa. L’attenzione educativa va anche oltre. Un sistema informativo, ad esempio, che esalta e idealizza il calcio sopra ogni cosa, come succede spesso, deve interrogarsi sui flop che ne conseguono. Chi glielo spiega ai milioni di appassionati, soprattutto ai piccoli, che gli idoli della mattina alla sera diventano semidelinquenti? Cosa penseranno, ad esempio, i tantissimi bambini che a Bergamo indossano la maglietta di Doni? Sono tante le strade di riflessione. Un’altra – solo accennata – potrebbe essere quella legata all’operare di uno Stato che incita esso stesso alle scommesse, legali si intende e con il consiglio immancabile di “giocare responsabilmente”. Ma che in ogni caso ci immerge quotidianamente in un mare di lotterie e di assalti alla fortuna. Ci sono dunque diverse responsabilità, personali e anche collettive chiamate in causa da vicende come quella che ha travolto il mondo del calcio. Potrebbe essere – c’è da augurarselo – l’occasione di fare pulizia, ma soprattutto, poiché il sistema si può immaginare sempre esposto ai virus, l’occasione di costruire una sensibilità più avvertita e inserire qualche anticorpo di consapevolezza e responsabilità.

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