Sarà un anno difficile, con il freno tirato

Nemmeno l’oroscopo più benevolo nei confronti dell’Italia ne presagiva un 2013 fatto di rose e fiori. Impossibile, ci sono ancora troppe spine per sperare in una rifioritura. E, anzi, forse questo è il momento peggiore della crisi: quello in cui nessuno paga qualcuno, quello in cui la macchina dell’economia rischia seriamente di fermarsi. Non ha destato, quindi, alcuna sorpresa la relazione del Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che ha preannunciato un 2013 con Pil ancora negativo; dopo un 2012 in cui si è passati da un Pil preventivato (a metà 2011) a +1%, a uno conclusivo di segno negativo per ben due punti percentuali. Da una piccola crescita a una brusca frenata, che non accenna a finire. Se percentuali e Pil e quant’altro non li capite, il discorso si può riassumere così: ci stiamo impoverendo, e continuiamo a impoverirci.

Casomai, delle parole di Visco, c’è da coccolarsi quelle in cui fa intravvedere una seconda parte dell’anno migliore del primo semestre: la tenue alba di un nuovo giorno?

Se non fosse che il Centro studi di Bankitalia è molto più serio e documentato di un mago da oroscopi o di un produttore di speranze verbali, verrebbe da sospettare che tale previsione sia più frutto di speranze e attese, appunto, che di come si stiano mettendo le cose. Quando lo stesso Governatore racconta di un crollo dei consumi che supera abbondantemente i 4 punti percentuali, questa foto chiarisce perfettamente la gravità della situazione: meno consumi, meno vendite, meno produzione, meno lavoro, meno reddito disponibile; quindi meno consumi... e via via in un avvitamento verso il basso.

Cosa ha spinto la Banca d’Italia a delineare un orizzonte meno cupo? Anzitutto la constatazione che la bufera non sta più squassando i nostri Btp: pagare il 4% d’interessi sul nostro debito pubblico è ben diverso che pagare il 6. Balla una differenza di 40 miliardi di euro all’anno!

Poi il cervello dell’economia, cioè le banche, stanno uscendo dall’ictus che le ha semi-paralizzate in questi anni. L’allentamento delle condizioni imposte dal trattato Basilea 3 le fa respirare; devono dare più soldi alle imprese ma hanno pure bisogno che l’economia stessa si rafforzi, produca fatturati e utili che consentano il rimborso del credito erogato. La spirale deve tornare positiva.

Poi il resto del mondo. Il quadro politico americano si è stabilizzato; il costo dell’energia (la nostra uscita più consistente) è destinato a calare; la Cina - dopo un momento di flessione - si sta rimettendo in marcia. I nostri imprenditori, che faticano a vendere un grissino in Italia, stanno piazzando le loro merci in giro per il mondo con un attivismo da applausi, come testimoniano i numeri dell’export.

In più, tra poche settimane si vota e ci sarà un nuovo governo. E si muoverà sapendo che la politica del rigore sui conti pubblici dovrà essere mantenuta. Perché, con il Pil stagnante e un debito pubblico che ha superato quota 2mila miliardi di euro, sarà impresa da giocolieri fare in modo che questo non continui a crescere. Quando hai 80-100 miliardi di euro d’interessi da pagare ogni anno, le strade da percorrere sono quasi obbligate, per non finire tutti a gambe all’aria.

Abbiamo bisogno di ottimismo, di numeri positivi, di riforme azzeccate, di idee giuste, anche di qualche colpo di fortuna: insomma abbiamo bisogno di fiducia nel futuro, di uscire da questa cappa di paura che ci sta immobilizzando. Per andar avanti bisogna alzarsi e camminare: da troppo tempo siamo fermi, e non ce lo possiamo più permettere.

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