Chi ci segue, sa che nulla viene risparmiato al Sud. Sia per quanto riguarda i comportamenti del suo ceto politico ed economico - che per decenni non ha fatto altro che lamentarsi, dimettendosi dalle sue colossali responsabilità, consentendo di fatto alle mafie e alle organizzazioni criminali di sostituirsi allo Stato e di controllare interi territori - sia rispetto alla cosiddetta società civile, che ha beneficiato in larga parte di privilegi inauditi, frutto di scambi di interessi e connivenze, che hanno irretito intere generazioni. C’è, però, anche un Sud che ha tutte le carte in regola, in termini di risorse umane e intellettuali, di capacità e di coraggio, per affrontare la crisi morale - e, quindi, economica - in cui si trova. A questa parte del Sud deve guardare chi intenda risollevare le sorti dell’intero Paese, perché è evidente che senza una ripresa - morale ed economica - del Mezzogiorno, non ci sarà nessuna ripresa. Per nessuno. Quella che una volta veniva chiamata “questione meridionale”, ha i connotati - mai come oggi - di una “grande questione nazionale”. Come affrontarla? Di recente, Piero Sansonetti, in un articolo intitolato “Un solo Job Act possibile il rilancio del Mezzogiorno”, ha fatto un’ipotesi: “Un riequilibrio territoriale che permetta il decollo - mai avvenuto negli ultimi due secoli - dell’economia del Mezzogiorno. Si tratta di spostare alcune risorse del Nord verso il Sud Italia, di modificare le politiche fiscali nel Sud differenziando Sud e Nord e poi di un grandioso impegno politico, regionale e nazionale, per l’utilizzo pieno di tutte le risorse messe a disposizione dall’Europa e finora in gran parte disperse dalle burocrazie e dalle incapacità politiche e amministrative delle nostre classi dirigenti”. Ha aggiunto Sansonetti: “In questo modo si potrebbero mettere insieme i finanziamenti per un gigantesco piano di rilancio del Mezzogiorno, delle sue infrastrutture e delle sue principali attività economiche, a partire da turismo e agricoltura. Se questo avvenisse, in tempi molto rapidi il Sud potrebbe recuperare anche sei o sette punti del suo Pil, producendo un aumento rilevantissimo dell’occupazione, un riequilibrio demografico, una ricomposizione dell’unità nazionale - che oggi è impedita dall’abissale divario economico e di diritti che esiste tra Nord e Sud - e un fortissimo abbassamento della povertà, il cui dato nazionale è oggi condizionato dallo sgretolamento dell’economia e della società meridionale. Davvero allora il lavoro tornerebbe ad aumentare, e una gran parte del lavoro sommerso riemergerebbe alla luce del sole, spazzando via il tipo più diffuso di illegalità che travolge il Mezzogiorno e dà ossigeno e carburante alla mafia per vivere e per sostituirsi allo Stato”. Non c’è una parola da aggiungere. Sottoscriviamo. Pienamente consapevoli che si tratterebbe, in definitiva, di dare compimento e di realizzare - finalmente - un’unità nazionale che in realtà non è mai esistita dal 1861 ad oggi. Sarebbe una rivoluzione innanzitutto culturale, perché porrebbe per la prima volta, con grande nettezza, il problema da risolvere e toglierebbe al Mezzogiorno tutti gli alibi che si è costruito. Per realizzare quest’obiettivo, serve solo guardare alla realtà. L’alternativa è continuare ad operare, a tutti i livelli, considerando fisiologica la convivenza tra “due Italie”, la prima pienamente inserita nel processo di sviluppo europeo, la seconda che si arrangia, arranca, costituisce solo un “peso” da sopportare.
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