San Donato «le chiusure contro il covid ci costeranno 500 posti di lavoro»

Ristorazione e commercio chiedono una moratoria delle tasse comunali

«A San Donato Milanese la crisi nel settore della ristorazione e del commercio portata dalla pandemia ha messo a rischio oltre 500 posti di lavoro: se il Comune non ci aiuta si aprirà un’emergenza sociale mai vista prima d’ora». L’allarme si alza da Vincenzo Di Gangi, presidente dell’associazione AssoSanDonato che è nata nel periodo del lockdown con l’adesione di una rete di negozianti, artigiani e liberi professionisti che ha continuato a crescere. Il dato riguardante il pesante tributo in termini di disoccupazione che rischia di pagare la città al periodo segnato dalle serrate è emerso da un’indagine che il sodalizio ha condotto nelle scorse settimane tra gli operatori economici. I riflettori tornano ad accendersi su negozi, bar e ristoranti che con l’introduzione dello smart working hanno perso completamente anche l’indotto provenente da migliaia di impiegati che ora stanno lavorando in smart working. «Sono a rischio i commessi, i camerieri e in generale il personale di tante piccole attività che non riescono più a tirare avanti - ricorda Di Gangi -: il problema si aprirà quando verrà meno la cassa integrazione in un periodo in cui gli incassi saranno ancora ben lontani da quelli del passato».

AssoSanDonato sta quindi preparando una richiesta rivolta a sindaco e assessori per chiedere “un anno bianco” con il totale sgravio della tassa sulla spazzatura Tari, nonché del Canone di occupazione del suolo pubblico (Cosap) e dell’imposta per la pubblicità per quanto concerne le insegne. «Occorre tenere conto che solo di Tari alcuni ristoranti pagano tra i 4 mila e i 5 mila euro l’anno e che le attività economiche concorrono per il 70 per cento al gettito annuale che incassa il Comune per questa imposta - conclude Di Gangi che siede anche in consiglio comunale nel gruppo di opposizione “Insieme per San Donato” -: l’ente sandonatese ha le risorse necessarie per dare un aiuto concreto alle realtà che rischiano di trovarsi costrette a licenziare i propri dipendenti».

Intanto gli esponenti di AssoSanDonato hanno deciso di non partecipare alla campagna che si è aperta a livello nazionale con gli hashtag #ioapro e #nonspengopiùlamiainsegna. I diretti interessati impegnati nella città dell’Eni temono che provocazioni del genere potrebbero concorrere alla diffusione del virus a cui seguirebbero poi delle misure ulteriormente restrittive. «Vogliamo rispettare la salute dei nostri clienti e dei nostri dipendenti - osservano i diretti interessati -, pertanto ci atterremo ai provvedimenti che saranno emanati, ma è certo che non possiamo essere lasciati soli».

LA TESTIMONIANZA

«Con il covid ho subito una perdita pari all’85 per cento del fatturato e pago quasi 5 mila euro di tasse all’anno tra Tari e Cosap: non vorrei trovarmi nelle condizioni di dovere scegliere chi tra i miei 15 dipendenti licenziare». È la testimonianza di Michele Palumbo, titolare del ristorante “Nonna Emilia” nell’area centrale di San Donato Milanese, che lamenta un periodo di grossa crisi e si unisce quindi all’appello rivolto al Comune che stanno lanciando tanti suoi colleghi di questa parte di Sudmilano che si trovano nelle medesime condizioni.

«Quando è stato necessario - spiega - ho anticipato la cassa integrazione per fare in modo che i miei dipendenti ricevessero puntualmente la busta paga, fortunatamente avevo accantonato anche dei risparmi che stanno servendo per fare fronte a questo periodo difficile, ma con le spese fisse che siamo costretti a sostenere, senza un aiuto concreto non ce la possiamo fare». Con 10 anni di storia alle spalle il suo ristorante è uno di quelli dove è stato organizzato un servizio di asporto all’avanguardia, che fa leva anche sugli strumenti informatici, per andare incontro ai clienti. Ma, nonostante l’impegno, il lavoro è calato a picco in quanto gli incassi provenenti dal delivery per Palumbo, così per gli altri ristoratori d’Italia, non sono paragonabili alle entrate dei tempi normali, quando all’ora di pranzo e di cena i locali si riempivano di avventori.

«Le abitudini con le restrizioni sono necessariamente cambiate - osserva Palumbo -, gli ordini arrivano e cerchiamo di fare il possibile per dare un buon servizio, ma la possibilità di uscire di casa per andare a pranzo o a cena al ristorante per la gente era comunque una cosa completamente diversa».

La principale preoccupazione in questa fase riguarda le ripercussioni di carattere sociale che possono derivare dal prolungarsi delle restrizioni. «I miei dipendenti - osserva -, sono quasi tutti di San Donato e, se rimanessero senza lavoro, si rivolgerebbero al Comune. Mentre - conclude - se ricevessimo un sostegno in termini di sgravio delle tasse forse riusciremmo a evitare di incidere sull’occupazione».

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