San Donato, in tre a processoper l’omicidio di Federico

La morte del piccolo Federico Barakat, ucciso dal padre a soli nove anni, poteva essere evitata. Lo ha scritto nero su bianco il gip di Milano Simone Luerti, che ieri ha chiesto di fatto il rinvio a giudizio per l’educatore presente alla tragedia e per le due assistenti sociali del Comune di San Donato Milanese che seguivano il caso. Per loro l’accusa sarà di “concorso colposo in omicidio volontario”. La lunga battaglia combattuta dalla madre del piccolo in questi anni, che ha fatto di tutto affinché qualcuno fosse chiamato a rispondere per quei fatti, ha ottenuto quindi un primo successo. «È molto sollevata - spiega il suo avvocato, Federico Sinicato del foro di Milano -. Ha sofferto tantissimo per il dipanarsi di questa vicenda, soprattutto per la richiesta del pm di metterci una pietra sopra. Una richiesta che considero miope. Ora si sente sollevata, è importante che qualcuno sia chiamato a rispondere per quei fatti e che un giudice possa decidere sulle responsabilità. Mettere tutto sotto un tappeto sarebbe stata una scelta sbagliata».

La morte del piccolo Federico Barakat, lo ricordiamo, risale al 25 febbraio 2009, quando il padre lo aggredì all’interno del centro socio sanitario di via Sergnano durante un incontro protetto, prima con una pistola e poi con un grosso coltello, colpendolo più volte fino a ucciderlo. La mamma, Antonella Penati, aveva fatto una denuncia nei confronti dell’educatore presente (che si era allontanato senza fare nulla) e delle assistenti sociali, sostenendo che quella tragedia poteva essere evitata perché più volte l’uomo aveva manifestato aggressività e lei stessa lo aveva segnalato ripetutamente.

L’indagine è finita in mano al pm Cristina Roveda, che in due anni di indagine aveva giudicato il fatto “non prevedibile”, arrivando a chiedere nei mesi scorsi l’archiviazione del fascicolo senza colpevoli.

Ma il giudice ha rigettato la sua richiesta e anzi le ha imposto di formulare subito l’imputazione (con la richiesta di rinvio a giudizio) per tutte e tre le persone coinvolte, scrivendo anche parole molto nette nei confronti del pm e delle sue valutazione sull’assenza di “segnali” espliciti e inequivocabili che potessero far prevedere la tragedia. «Se ci fossero stati questi segnali - scrive in sintesi il giudice - dovremmo forse discutere di concorso “doloso” in omicidio e non “colposo”. La prevedibilità va cercata nei fatti passati e nell’aggressività manifestata dall’uomo nei confronti della madre. Anche il figlio ne aveva paura. Il fatto era evitabile e sia l’educatore che le assistenti sociali avevano il potere in parte discrezionale di regolare i rapporti fra padre e figlio, dovendo e potendo avere presente la pericolosità del primo». Invece i tre operatori non hanno preso «le opportune cautele nella gestione del rapporto padre-minore», lasciando addirittura solo «il minore con il padre» durante il colloquio, «occasione che ha permesso all’uomo di compiere il tragico gesto».

«Sono soddisfatto - commenta l’avvocato Sinicato -, con tutta onestà ritenevo vergognoso e incredibile che il sistema giudiziario italiano non vedesse la necessità di giudicare una responsabilità così rilevante in un caso così doloroso e drammatico come questo». Dopo il rinvio a giudizio comincerà quindi il processo che vedrà sul banco degli imputati i tre dipendenti dei servizi sociali del Comune di San Donato.

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