San Donato, Dompè si ricandida

In questo momento il candidato sindaco del centrodestra è Mario Dompè, perché il centrodestra di San Donato corrisponde al “gruppo di lavoro” composto dai quindici consiglieri comunali, dalla giunta e dai coordinamenti provinciale e regionale. Tutte persone con cui ho ottimi rapporti». Così il sindaco di San Donato rompe gli indugi e annuncia che il leader più “logico” del Pdl, per il voto 2012, è ancora lui. Ricandidato per il doppio mandato.

«Questa amministrazione ha riportato a San Donato un’Eni distante e ha salvato la città da quattro “bombe”, io le chiamo così, che costituivano la disgraziata eredità della giunta Taverniti - evidenzia a doppio tratto il primo cittadino - il centro sportivo di Metanopoli che avrebbe chiuso definitivamente i battenti se fosse andato avanti con la gestione Gism; il disastro urbanistico di via Di Vittorio con la strada sconnessa e l’arredo urbano a pezzi; otto cucine scolastiche che rischiavano anche loro di chiudere a causa delle norme evase di pubblica igiene, e l’ex Carte e Valori che restava a degradarsi al Certosa. Se poi si vuole insistere demagogicamente sulla nostra litigiosità interna, bene lo si faccia ma ci sono le risposte anche per quello».

Appunto: non si può aggirare l’obiezione che nel sandonatese medio, ma in senso lato nell’italiano medio, della politica resta impressa più la “forma” che la sostanza: il litigio pittoresco descritto nei libri di andreottiana memoria. Molti dell’“epoca Dompè” tratterranno come istantanea quella scena conclusiva dei quattro consigli di fila sul Pgt, con le bandiere leghiste, i cori, i carabinieri in aula...

«Quell’episodio, nel merito, è già stato definito come squadrista e antidemocratico. Tuttavia, anziché tornare continuamente sull’accaduto in consiglio, anche perché il rapporto con la Lega nord resta comunque un punto fermo, ho altre cose da dire. Comincio dalla prima: perché l’esecutivo di San Donato ha cambiato così tanti assessori. Chi lo vuol capire, vada a rileggere le linee guida della nostra coalizione datate maggio 2007 (estrae il programma dalla scrivania, nda). Lì si dice chiaramente che precondizione dell’alleanza e della tenuta dell’amministrazione era un patto etico-comportamentale basato sul presupposto di ferro che il senso di servizio alla città avrebbe dovuto prevalere sull’appartenenza politica, sul fare politica in giunta e sul portare in giunta interessi tattici di partito. Oltre che, ovvio, sull’interesse personale. Chi non è più assessore ha infranto questo patto. Ha fatto o politica di corrente o suoi interessi. Gente a casaccio io non ne ho allontanata ».

Faccia un esempio concreto di questo criterio.

«Viviamo tempi tali che i buoni esempi devono venire prima di tutto dalle classi dirigenti. Il sindaco si azzera lo stipendio e spende 500 euro all’anno di telefono, comprese le chiamate gratis fra numeri interni del comune. E io devo tollerare che un assessore costi 4mila euro di cellulare all’erario pubblico? No, non lo tollero, non sono tempi in cui si possano tollerare comportamenti del genere ».

Stava dicendo una seconda cosa...

«Lei allude a un’atmosfera rissosa nella nostra coalizione, ma io ribalto completamente il punto di vista. Secondo me questo scorcio finale di legislatura non si sta concludendo nel litigio, ma nella compattezza. Io guardo chi mi sostiene, non chi non mi sostiene più. E allora vedo un gruppo consiliare Pdl-La Città Domani, più il misto, che conta quindici consiglieri e va avanti ad approvare documenti importantissimi. Vedo un rapporto con il coordinamento provinciale e regionale del Popolo della Libertà che è solido, non dà problemi, non traballa».

Mario Dompè è ancora un uomo del Pdl? O almeno vicino al Pdl, visto che nel 2007 aveva anche la sua lista civica?

«La mia estrazione politico-culturale è vicina al liberalismo cattolico sociale di don Luigi Sturzo, quindi a un moderatismo che valorizza l’individuo contro tutti gli estremismi ideologici. Questa posizione attualmente è ancora incarnata nel modo più credibile dal Popolo delle Libertà, al quale mi sento vicino. Se poi ci sono opinioni divergenti su questa mia vicinanza, che vengano fuori nelle dovute sedi».

Cosa intende dire con questo?

«Che se c’è un massiccio dissenso nel centrodestra riguardo quanto ha fatto la mia giunta, non si può affidare alle dichiarazioni singole e ai commenti a titolo individuale. Si deve scegliere un altro palcoscenico, e tale palcoscenico non può che essere quello dei congressi di partito. La convocazione di congressi del centrodestra è necessaria non solo nell’area politica di riferimento ma per sanare un problema che sta diventando ciclopico nella società italiana: la frattura fra cittadini e partiti. Siamo arrivati davvero ad un punto in cui fra i “capatàz” di partito da una parte e il sentimento comune di chi lavora c’è un abisso».

Ma insomma: lei si sente il candidato naturale del centrodestra alle comunali di primavera?

«Sì, non ho ragioni per pensare il contrario. La scelta di fare il candidato o meno è mia: la forma poi, con cui attuare una proposta del genere, quella non dipende tutta da me».

Un’altra accusa tambureggiante è che lei ha fatto diventare il comune una serra dei misteri. Autoreferenziale, chiusa ai cittadini...

« Io ho un’attività di libero professionista che continuo a svolgere. Di cittadini ne vedo ogni giorno e non constato una caduta di fiducia, una rottura di rapporti grave come molti millantano. La gente mi parla come prima. In cinque anni ho ricevuto mille persone qui nel mio ufficio e rispondo a tutte le mail. Poi voglio chiarire un altro aspetto. Le aggregazioni spontanee di cittadini sono rispettabilissime ma spesso confondono i fini con i mezzi. Quelli che enunciano sono obiettivi su cui tutti sono d’accordo, ma senza mezzi non si mette in atto niente. Prendiamo la Campagnetta. Acquistarla è escluso nel modo più assoluto, casomai lo poteva fare la giunta Achilli con 2 milioni di euro, utili anche per cascina Ronco, che però non si sa perché, ha speso sperperandoli in rocca Brivio. Allora in che modo arriviamo al fine, all’obiettivo? Con l’unico mezzo realistico, che è l’uso pubblico di alcune zone all’interno di un piano di intervento privato. Non vorrei comunque che questa estenuante discussione sul “metodo” di questa giunta oscurasse le risposte alla città date dopo quaranta anni di attesa. Piazza Jannozzi, cascina Monticello, le aree 167, la manutenzione scolastica: ma le vogliamo vedere queste cose o no?».

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