Questa terra ha un’identità che va difesa

“Né più mai toccherò le sacre sponde, ove il mio corpo fanciulletto giacque…”. Così si apre il sonetto “A Zacinto” di Ugo Foscolo; così inizia una delle pagine più alte della nostra letteratura, sfiorando la perfezione in accenti di poesia purissima. Il poeta alza il “canto” alla terra natia che ha cullato la sua fanciullezza, con la struggente consapevolezza di non poterci ritornare, di non poterla rivedere. Ripercorrendone le righe provo per la mia terra analoghe sensazioni, l’identica emozione. Mi accomuna al poeta l’incanto, e lo stupore, di un ambiente trasudante bellezza: nei suoi orizzonti verdi e appena sfumati, nella peculiarità delle sue stagioni tanto diverse, così ricche e così uniche; mi accomuna la percezione di sacralità che da esso traspira, ma soprattutto la certezza di non rivedere più oggi lo stesso suolo che un tempo mi ha cresciuta. Se per Foscolo la disperazione si annida nell’impossibilità di un nuovo incontro causa la lontananza o i diversi motivi che lo tengono separato dalla sua terra, la mia consapevolezza sorge da un diverso sentire.Mi legano, a questo lembo di pianura, amore, passione, indicibile tenerezza, che mi accompagnano dalla più tenera età, eppure tali sentimenti non bastano più a salvarla e lottano impotenti contro un vento avverso. Vedo questa terra cambiare, mutare di giorno in giorno e di giorno in giorno farsi esile e fragile e diversa la sua fisionomia, sempre in continuo divenire. Si va modificando senza possibilità di ritorno una trama antica che per secoli ne ha delineato il profilo. Nel suo tracciato si sono infiltrate inesorabilmente nuove presenze, nuovi stili di vita e modelli di comportamento, nuovi valori, nuove culture ed essa si è trasformata in un crogiuolo dove tante diversità si incontrano, dove influssi eterogenei si incrostano, incapaci tuttavia di generare nuova ricchezza, incapaci di essere fermento di positivi mutamenti. Al contrario, le innumerevoli ed incontenibili diversità, così lontane dalla nostra tradizione e così refrattarie ad ogni confronto, insensibili ed indifferenti, quando non ostili, alla nostra civiltà, sembrano minare, assottigliare ed impoverire un humus antropologico, sociale, culturale, religioso che ha connotato per secoli il territorio, direi l’intero nostro Paese. Torna il pensiero ad una parola, reiterata quanto significativa: identità. Suona come un termine vago e aleatorio, non più precisamente definito, non di rado fastidioso. Eppure l’identità non porta in sé una connotazione reazionaria, irriverente o meschina perché non vive di astrazioni: ha radici e solide basi in molteplici sfaccettature precise della nostra storia e tradizione, del nostro vivere, ciascuna piccolo perno perché questa identità abbia senso e concretezza.Essa emerge da un insieme di abitudini, riti, usanze, tradizioni intrisi di molta sostanza, consolidati dal tempo, delineati da un popolo. E’ un’identità che nell’operosità dei padri, nella semplicità dei gesti e dei valori che li hanno accompagnati, si è forgiata giorno dopo giorno in mille e mille piccole tessere di un mosaico che ha retto agli affronti del tempo e che ora si sgretola nel breve volger di un’aurora. Sul Corriere leggevo che “senza metamorfosi non c’è identità ed è illusorio pensare di conservare le proprie radici elevando barriere che ci mettano al riparo dal mutamento. Per essere compiutamente se stessi è vitale ed insostituibile il rapporto, in qualunque modo declinato, con l’altro da sé”. Da qualche anno una metamorfosi epocale aggredisce a macchia d’olio la nostra terra, il nostro Paese, dapprima in sordina, poi in modo dilagante, venendo a frantumare un’identità immane che arranca non poco per sopravvivere, ma il cui destino è segnato. Certamente le radici non si conservano elevando barriere, ma se davvero contano (e sono certa che per moltissimi lodigiani e italiani ancora contino) vanno protette dalle intemperie, alimentate dall’amore, dall’attenzione, difese dagli insulti e dagli assalti. Diversamente saranno divelte, si faranno aride e la pianta alla quale infondevano linfa, vigore e vita cadrà.

© RIPRODUZIONE RISERVATA