Quella parità tra donne e uomini

C’è di tutto, forse anche qualcosa di troppo, nel testo della relazione «sulla parità tra donne e uomini nell’Unione europea» approvata il 13 marzo a Strasburgo dal Parlamento Ue. Il documento emerso dalla commissione parlamentare per i diritti della donna e l’uguaglianza di genere, molto ampio e articolato, riporta accanto a indicazioni assolutamente condivisibili sul rispetto della uguaglianza sostanziale fra donne e uomini quale diritto fondamentale dell’Ue – e di ogni società democratica e moderna – tutta una serie di segnalazioni, richieste, affermazioni che con l’uguaglianza tra donna e uomo hanno poco o nulla a che fare. Inoltre la stessa relazione inserisce vari paragrafi che tendono ad affermare o a prefigurare pseudo-diritti e pseudo-verità che vanno ben al di là delle competenze dell’Europarlamento e di quelle comunitarie e che per giunta risultano lesive di una gran parte dell’opinione pubblica e del sentire comune europeo.In positivo la relazione indica, ad esempio, la necessità di procedere con le «quote rosa» per accrescere il numero delle donne nella vita politica e nei board dirigenziali delle aziende; ribadisce l’urgenza di politiche volte ad assicurare la parità retributiva tra maschi e femmine che svolgono le stesse mansioni lavorative; il Parlamento chiede inoltre al Consiglio di sostenere la proposta di direttiva sul congedo di maternità per garantire un congedo retribuito in tutta l’Unione. Altre affermazioni importanti riguardano più in generale la tutela e promozione della dignità della donna, il rispetto dei diritti individuali e sociali, il contrasto a ogni forma di violenza e sopruso nei confronti delle donne, in Europa e nel mondo.C’è però da chiedersi cosa abbia a che fare – stando alla relazione varata dall’emiciclo, con 361 voti a favore, 268 contrari e 70 astensioni – la richiesta del riconoscimento di un inesistente «diritti all’aborto» con la dignità della donna e la parità fra questa e l’uomo. Allo stesso modo ci si domanda cosa c’entra la richiesta del riconoscimento – e della equiparazione alla famiglia tradizionale - delle «unioni di fatto» o delle unioni omosessuali con la parità tra donna e uomo. E in quale misura è rapportabile la disponibilità gratuita di preservativi per – si afferma – contrastare la diffusione dell’Hiv-Aids con la parità tra donna e uomo?Un autorevole commento al voto è giunto da Carlo Casini, eurodeputato, giurista e presidente della commissione Affari costituzionali dell’Europarlamento. «La parità tra donne e uomini è una conquista indiscutibile dell’epoca moderna. Il suo fondamento è l’uguale dignità umana e il riconoscimento universale dei diritti dell’uomo – ha spiegato Casini -. Purtroppo nella relazione» sulla pari dignità uomo-donna emersa dall’emiciclo (che in realtà ha scarso se non nullo peso sull’attività legislativa dell’Ue, restando pur sempre un preoccupante segnale politico) «vi è un’inaccettabile contraddizione che cambia radicalmente il suo significato. La dignità umana e i diritti umani riguardano tutti gli esseri umani e quindi anche i più fragili, deboli e poveri. Esigere come diritto della donna l’aborto, nascondere equivocamente questa istanza sotto la domanda dei diritti sessuali riproduttivi (di per sé meritevole di ogni consenso se non ritenuti comprensivi di un diritto di distruggere la vita di un figlio non voluto) è inaccettabile». Il testo votato dall’Assemblea Ue pone quindi vari problemi che possono indurre ad alcune e più complessive riflessioni. In primo luogo ci si domanda come mai l’Ue - il Parlamento di Strasburgo in particolare - talvolta tenda a travalicare i poteri che le competono e, venendo meno al criterio di sussidiarietà, invada campi riservati agli Stati, come ad esempio per gli ambiti legati alla vita, alla famiglia, all’educazione. L’Unione ha già competenze piuttosto vaste stabilite dai Trattati, nelle quali può portare gran giovamento all’intera realtà sociale ed economica europea…In secondo luogo ci si può chiedere se e fino a che punto l’Europarlamento, eletto a suffragio universale, sia lo specchio dei cittadini europei, di ciò che essi pensano, desiderano, chiedono, ambiscono, ritengono rilevante. Ovvero, i dibattiti e le risoluzioni e le direttive votate in emiciclo riflettono le attese dei 500 milioni di cittadini Ue e della società civile dei 27 Stati membri? Vi si ricerca il «bene comune europeo», ovvero una sintesi «alta» e «possibile» degli interessi e dei valori dei popoli del vecchio continente?La terza questione riguarda poi la stessa realtà sociale e culturale europea: quanto essa conserva, alimenta e promuove quei valori che le sono consegnati dalla propria storia e tradizione? Quanto è segnata dalle trasformazioni dell’epoca presente e dalla secolarizzazione? Quanto gli europei sanno aprirsi ai grandi misteri della vita, del «bene», del «bello» e del «giusto»? Quale ruolo hanno in questa prospettiva etica ed educativa le famiglie, la scuola, le chiese e le comunità religiose? Forse la relazione sulla parità uomo-donna, pur nella sua inopportunità, può fornire una nuova e ulteriore occasione per tornare a riflettere su taluni di questi temi.

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