Quei tabù che sono venuti meno

Ormai siamo abituati a vedere in Rete – e, di riflesso, anche in tv e negli altri media – filmati violenti o addirittura truci, che mostrano esecuzioni sommarie, pestaggi mortali e violenze di ogni genere. Di fronte a un fattaccio di cronaca o a un’aggressione contro persone inermi, qualunque siano le loro eventuali “colpe”, il naturale sentimento che sgorga dal cuore dovrebbe essere quello della pietà. Invece, sempre più spesso, succede che chi assiste a un evento violento o drammatico finisce per guardarlo con cinismo e addirittura con curiosità, attirato dal triste spettacolo del sangue o della morte.Non si spiegherebbero altrimenti i numerosi click che hanno ottenuto, nei giorni scorsi, i video che testimoniavano la tortura e l’uccisione di un gruppo di giovani soldati siriani e il pestaggio mortale di un trentaquattrenne filippino, Topacio Anthony Edinson, ucciso di notte a Milano davanti a una sala bingo da alcuni suoi connazionali, poi arrestati.Nel primo caso probabilmente l’autore è uno degli stessi ribelli che hanno riunito i soldati in un edificio a Saraqeb, nel nord della Siria, e poi li hanno picchiati prima di giustiziarli a raffiche di mitra. Nel secondo caso, a girare il filmato che ritrae il giovane filippino a terra è stato un abitante della zona e le riprese sono servite a identificare gli aggressori.Se la sorte dei soldati siriani era in mano soltanto al gruppo armato nelle cui mani sono caduti, il destino di Edinson avrebbe preso una piega diversa se qualcuno dei numerosi presenti che hanno assistito alla scena avesse fatto qualcosa per fermare la furia omicida degli aggressori. Invece molti sono passati di lì come se niente fosse, altri hanno fatto capannello per commentare quello che succedeva, altri ancora hanno preferito girarsi dall’altra parte, forse per paura di restare essi stessi coinvolti.E noi? Noi che non eravamo in Sira né in giro per le vie di Milano in quei momenti, perché abbiamo ceduto alla tentazione di vedere quelle immagini atroci? In fondo, non c’era bisogno dei filmati per poter avere un quadro chiaro della notizia, nell’uno e nell’altro caso: le cronache abbondavano di descrizioni, dettagli e commenti scandalizzati, compresi quelli di chi spendeva parole sul cinismo voyeuristico e di fianco, nella stessa pagina online, metteva a disposizione la versione integrale dei filmati.Trova conferma la teoria per cui ormai siamo talmente abituati agli eccessi della cosiddetta “tv-verità” da confondere la realtà con la sua rappresentazione e da scambiare anche le immagini più insopportabili per una sorta di messa in scena che, invece di avvicinarci ai problemi e alle sofferenze altrui, ci rende sempre più insensibili alla violenza, al dolore e alla morte. Né vale invocare la giustificazione della denuncia, affermando che l’unico modo per portare alla coscienza della società certi fattacci è quello di farli vedere.Dobbiamo rifuggire dal voyeurismo di chi, vedendo un incidente, una persona in difficoltà o una rissa, invece di chiamare aiuto ha quale primo riflesso quello di puntare la microcamera del telefonino verso l’evento e cominciare a riprendere, magari trovando il tempo per effettuare pure qualche primo piano sugli sventurati protagonisti. Tutto per poter dire “Io c’ero” e, magari, per vantarsi con gli amici della prontezza di spirito e di azione (se così vogliamo chiamarla) dimostrata nell’occasione.A livello più generale, è come se la realtà intorno a noi esistesse soltanto quando viene filmata in presa diretta da qualcuno che passa di lì più o meno per caso. Come san Tommaso, non ci fidiamo più delle parole e della necessaria mediazione di chi la racconta: abbiamo bisogno di vedere tutto e tutti, anche coloro che si trovano in situazioni nelle quali stendere un pietoso velo su certe immagini sarebbe l’unica soluzione accettabile.Fino a qualche tempo fa, esistevano due grandi tabù mediatici: l’atto sessuale e la morte. Si potevano eventualmente raccontare e in certi casi rappresentare, ma non mostrare. Oggi, anche a causa dell’evoluzione delle tecnologie e della possibilità di condividere ogni tipo di contenuti attraverso la Rete, il confine fra ciò che è lecito e ciò che è proibito mostrare è caduto. Si tratti di corpi avvinghiati o di corpi senza vita, si tratta comunque di immagini pornografiche.

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