Quando bocciare non è dannoso

Il cinque in condotta quest’anno ha fatto una strage. A dircelo sono le prime notizie che filtrano dal Ministero dove il calcolo statistico sulle insufficienze nella condotta continua a snocciolare dati. Sono più di dodicimila, infatti, gli studenti divisi in ogni ordine di scuola, bocciati a causa del cinque in condotta. Siamo di fronte a dati provvisori destinati però, anche se di poco, ancora a salire, ma che già danno l’idea di come sia molto esteso il problema della disciplina nelle nostre scuole.Un fenomeno in crescita che deve preoccupare non poco se pensiamo che solo due anni fa, quando è entrato in vigore il nuovo Regolamento sulla disciplina, i ragazzi bocciati a causa di un cattivo comportamento sono stati poco meno di dieci mila. Un aumento che non deve fermarsi solo ad un’analisi statistica, ma ci deve portare a riflettere su quanto pesante stia diventando il clima nelle nostre aule. Nelle nostre scuole, infatti, nonostante lo spauracchio della perdita dell’anno scolastico con il solo cinque in condotta, continuano gli episodi che vedono gli studenti artefici di iniziative decisamente discutibili. I numerosi filmati presenti in «YouTube», ma anche in «Scuolazoo» (un nome, una garanzia), sono lì a testimoniare certe particolari imprese messe in atto dai ragazzi, ritenute talmente ardite da rendere vana ogni azione educativa e formativa degli insegnanti.Snocciolando i dati emerge un fenomeno preoccupante. Nella maggior parte dei casi i problemi sono causati dai ragazzi in piena età adolescenziale, ovvero da ragazzi che frequentano la terza media o il primo biennio delle superiori. Ancora una volta sono i ragazzi dai tredici ai quindici anni a mostrare una forte problematicità in fatto di disagio relazionale. E’ a questa età, infatti, che si finisce spesso per cambiare il modo di vedere le situazioni fino a oltrepassare ogni limite del tollerabile. Un’età in cui una pur minima reazione si trasforma, talvolta, in autentica ribellione fino a tramutare il ragazzo in bulletto pronto a compiere azioni eclatanti fuori da ogni controllo proprio perché privo di sensibilità. E’ l’età in cui ci si è pronti a imitare gli adulti pur sapendo di non essere adulti; in cui si confonde il reale col virtuale; in cui si crede di aver raggiunto una dimensione ottimale per una corretta interpretazione dei fatti, pur sapendo che i fatti richiedono una paziente capacità interpretativa. Ardua, quindi, risulta essere l’opera educativa degli insegnanti. Da più parti si invoca un maggior rigore che se non viene edulcorato da un precipitoso intervento dei genitori, animati spesso da attenzioni che vanno oltre ogni benevola comprensione, potrebbe portare i ragazzi verso una maggiore consapevolezza e responsabilità delle proprie azioni. Non è accettabile vedere ragazzi presentarsi in classe con la sola voglia di rendere faticosa la giornata agli insegnanti. Se dobbiamo restituire rigore ed efficacia all’azione educativa, dobbiamo necessariamente educare i genitori a una diversa chiave di lettura da rivolgere alle risposte disciplinari adottate dai docenti. E’ la cronaca che ce lo impone. Non passa giorno, infatti, che non dobbiamo fare i conti con notizie niente affatto piacevoli e che vedono tanti adolescenti protagonisti in negativo. Azioni che non trovano alcun elemento di razionalità, eppure regolarmente portate avanti senza che nessuno le faccia pesare. E se nelle famiglie è in aumento lo stupore per i fatti che vedono i minori protagonisti di cattivi episodi, nelle scuole sono decisamente in aumento le convocazioni dei consigli di classe in seduta straordinaria per discutere di azioni punitive esemplari commisurate ai fatti accaduti. Sono segnali che la dicono lunga sul clima pesante che da alcuni anni si respira nelle aule scolastiche. Un clima che si rivela fortemente penalizzante per i tanti ragazzi desiderosi di vivere l’esperienza scolastica con autentica partecipazione. Ma il problema può avere un concreto riscontro solo se accompagnato da autentici modelli educativi. Spesso quello che si riesce a guadagnare lentamente in termini educativi, viene disperso in aula da comportamenti scorretti o moralmente discutibili messi in atto da docenti. Non migliore situazione si registra in famiglia dove l’assenza dei genitori, che non è solo fisica, costringe spesso il ragazzo a gestirsi il resto della giornata tra noia e ribellione, alimentate in certi casi da variabili tecnologiche che offrono forme di pericolosi rifugi. I giochi di ruolo sono un esempio. Un esempio talmente pericoloso da essere causa di forti disturbi comportamentali se non mentali. La recente strage di Oslo ad opera di un giovane fanatico norvegese appassionato, tra l’altro, di giochi di ruolo violenti, deve far riflettere parecchio. L’azione educativa necessita necessariamente di un’azione congiunta. E questo vale per tutti, genitori e docenti.C’è nel rapporto educativo un’equazione che non può passare inosservata. Una debole azione dei genitori in famiglia corrisponde, il più delle volte, a una decisa presenza dei docenti in classe. E chiarisco. Dalla recente ricerca Ocse-Talis, ad esempio, si viene a sapere che, un docente necessita normalmente, di un buon 14% del tempo-ora, per imporsi sulla scolaresca prima di iniziare le lezioni. E’ come dire che molti ragazzi si comportano a scuola come una mandria allo stato brado senza rendersi conto di essere entrati in una classe, un luogo particolare dove i rapporti sono regolati da regole di comportamento ben precisi, articolati in diritti e doveri da rispettare. Ma evidentemente di tutto questo poco si sa e poco si tende a far sapere. Deve migliorare notevolmente l’intesa tra scuola e famiglia; deve migliorare decisamente il rapporto di fiducia tra insegnanti e genitori, ma soprattutto deve migliorare chi del processo educativo è considerato la massima espressione: la persona adulta. Il clima di una classe si costruisce su queste basi. Un intreccio di interessi etici che da soli possono creare favorevoli condizioni per sperare di non dover fare poi i conti con una bocciatura per cattivo comportamento.Tutto questo mentre i dati dell’Ocse-Pisa mandano a dire che bocciare fa male. Sarà pure vero, ma fa pure male impedire a un docente di fare lezione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA