Le infrastrutture sono essenziali ad ogni settore. Senza una viabilità adeguata, non si va da nessuna parte. Oltrettutto questo settore coinvolge in un modo pesante la vivibilità e la salute dei cittadini. Autostrada e Tav a parte, il Lodigiano è tradizionalmente ingolfato da tre strozzature viarie: la Via Emilia, la Lodi-Sant’Angelo Lodigiano, la Mantovana-Codognese. Secondo le intenzioni dell’allora presidente del Consorzio del Lodigiano on. Mario Beccaria, l’inaugurazione del tracciato della “Lodigiana” (Lodi-Mirandolina), con opportuni e successivi allargamenti e modifiche avrebbe dovuto costituire un asse alternativo alla Via Emilia e pluridirezionale per una parte di traffico sud-ovest e ovest. Ma tutto è restato lettera morta, a favore della politica dello spezzatino: un pezzo di tangenzialina a Fombio, un pezzo di tangenziale a Lodi che, a ben guardare non hanno risolto nessun problema di fondo, tanto più che l’aumento esponenziale di insediamenti logistici ha reso la situazione prossima al collasso. Intanto si continua sulla strada dello spezzatino più o meno ipotizzato delle tangenziali locali. Domanda: come ha fatto la Regione Emilia a sanificare la tratta Piacenza – Parma ed oltre con un tracciato totalmente (o quasi) nuovo della Via Emilia che ha aggirato ( e rispettato) anche piccoli insediamenti agricoli, oltre paesi e città, nel giro di pochi anni? Che cosa c’è nel Lodigaiano che non funziona? Come mai, invece di ricorrere a onerosi e costosi spezzatini non si è mai pensato di raddoppiare e riprogettare un tracciato della Via Emilia da Melegnano a Piacenza, riservando l’attuale alla viabilità locale? Quando è stato deciso di costruire la TAV, se si fossero massi assieme tutti i benefit concessi all’area (a parere di un Direttore Generale delle risorse) i fondi sarebbero stati più che sufficienti. Una prima considerazione è abbastanza facile: forse il Lodigiano ha smarrito la visione d’insieme dei problemi e, con questa, la prospettiva delle reali priorità.
Il sistema bancarioPuò essere considerato la “Terza gamba”, la linfa, senza della quale un’area resta nella sabbie mobili di un percorso senza prospettive sicure. Nel passato, il Lodigiano poteva contare su un robusto paniere di istituzioni bancarie a misura di territorio, in primis la Banca Popolare di Lodi. Oltre ad essere stata il motore della piccola e media imprenditorialità, tramite le tesorerie comunali e la presenza in ogni paese, ha svolto un ruolo significativo di promozione sociale. L’impressione, oggi, è che il Lodigiano sia orfano. Torna alla memoria una pubblicazione (credo fine anni cinquanta), autore un famoso ammiraglio della Marina Italiana (Trizzino), dal titolo: “Navi e poltrone”, sulle responsabilità delle sconfitte marinare durante l’ultimo conflitto. Anche Il Lodigiano aveva “una nave” che seppure non fosse un mastodontico transatlantico, era “parva sed apta mihi” come scrive Virgilio cioè (traduzione libera) funzionale alle necessità del territorio. Tra fremiti politici velleitari di grandeur e discussioni successive sullo “stand alone”, la nave ha mollato gli ormeggi ed è approdato altrove, lasciando “poltrone”, anzi “poltroncine” per sedare l’iperpiressia delle aspirazioni locali e “l’obolo” delle Fondazioni; ma il vero potere è ormai altrove. Di fronte alle macerie della crisi attuale che ha decimato le risorse imprenditoriali e il mercato lodigiano, facendo un paragone con il passato postbellico del secolo scorso molto più difficile, salta agli occhi la differenza: non esiste più quella “terza gamba” che allora fu parte attiva. Che fare? La risposta dovrebbe essere in una progettualità forte ed autorevole delle istituzioni politico-amministrative per la ricostituzione di questo tessuto.
La provincia di LodiQuando venne istituita, vi fu un certo numero di scettici, anche nelle comunità. Vedasi il caso di San Colombano, di Paullo ed altri e il caso di Codogno che propose un referendum fuori tempo massimo. Lo scetticismo riguardava il fatto che una piccola provincia non potesse reggere un ruolo efficace di governo e promozione del territorio, almeno a confronto con i vantaggi dell’appartenenza alla Provincia di Milano. Dunque sarebbe sorto un ente inutile, funzionale a foraggiare i cadreghini della politica. Oggi il Governo Monti le vuole abolire in nome della cancellazione dei privilegi della casta e della razionalizzazione delle spese, eliminando quelle inutili. Un recente referendum in Sardegna darebbe ragione alla tesi governativa. Intanto, per chi conosce bene la Sardegna, sa che questo referendum ha radici localistiche ben definite che nulla hanno a che fare con il continente e, nel caso, con il Lodigiano. D’accordo, la Provincia di Lodi non ha espresso tutte le potenzialità prevedibili, previste, auspicabili; ma la convinzione è che senza un ente sovraterritoriale che abbia la possibilità di conoscere e capire in presa diretta le esigenze di un territorio e che non abbia l’autorevolezza di porsi democraticamente come elemento di progettualità globale e di sintesi delle priorità; ciò significa l’anodizzazione quindi lo smantellamento della radici e delle potenzialità a misura di chi ci abita. Un territorio, un’area, una comunità non possono essere equiparate né ad uno zoo né un semplice campo d’insediamento antropologico, neppure in nome di una austerity tecnica. La democrazia molecolare, in un paese civile, non può essere considerata uno spreco di risorse; ma è “la risorsa”.Nella riflessione precedente, il filo conduttore che emerge e che è prioritario ad ogni ripresa (economica, politica, finanziaria, sociale, antropologica) è l’esigenza di una progettualità d’area che sia a misura dell’area stessa e che vi sia una struttura che la possa attivare in tempi e in modi congrui. Se l’istituzione provincia deve essere migliorata, configurata alle nuove esigenze ed emergenze, saggezza vuole che lo si faccia in modo rapido e chirurgico. Cancellarla significherebbe operare come quel chirurgo che, per sanare un furuncolo al braccio, lo amputa. Tutti sappiamo che la democrazia ( anzi la “politia” come scrive Platone) è un arte difficile, ad impegno pedagogico e didattico continuativo; ma non la si potrà mai conseguire comprimendo la partecipazione cellulare dei cittadini. Dunque, riforma sì; cancellazione, no.(2 - fine)
La prima parte dell’articolo è stata pubblicata sul «Cittadino» di ieri, mercoledì 31 maggio, sempre in prima pagina.
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