Un fantasma si aggira dalle parti di Viale Trastevere, armeggiando presso il palazzo della Minerva sede del Ministero dell’Istruzione. È il fantasma di Brenno che la storia lo ricorda per aver messo a ferro e fuoco Roma e per il suo nefasto «Vae victis», (Guai ai vinti). E in effetti Roma passò un brutto momento. Un monito del genere pare emerga anche dal programma sulla scuola del Pd che, sicuro della vittoria alle prossime elezioni politiche, promette radicali cambiamenti su certe leggi promulgate dal precedente governo. In particolare il riferimento va al ripristino del tempo pieno nella primaria, del tempo prolungato nelle medie e soprattutto al ritorno del modulo delle 30 ore con la compresenza nelle classi elementari. Si rimanda, dunque, in soffitta il maestro unico voluto dalla Gelmini che a sua volta aver dato il ben servito al «modulo» introdotto con i programmi del 1985 della mitica Falcucci, passata alla storia soprattutto per aver “licenziato senza preavviso” lo storico maestro unico. «Corsi e ricorsi storici» direbbe Giambattista Vico. Ciò che, tuttavia, oggi impressiona sono i ritmi dei cambiamenti diventati incessanti nel settore scuola. Leggi e normative si annullano in forma sequenziale a seconda che al Ministero sale un ministro del centro destra o uno del centro sinistra. Nella scuola si paventa un rischio. Leggi e norme non sono più in funzione dell’efficienza e dell’efficacia formativa e organizzativa dei processi scolastici, ma in funzione delle risposte che ora una, ora l’altra compagine politica si impegna a dare così come promesso in campagna elettorale. C’è poco da commentare. Ciò che viene fatto da un governo vincitore, viene rifatto dal governo successivo che manda a casa il governo precedente. Provate a sfogliare un compendio di legislazione scolastica. C’è da rimanere confusi dalle tante norme che richiamano a leggi semi-abrogate, tuttavia tenute in vita da certi articoli che richiamano ad altre leggi mai abrogate. Tanto basta per dormire preoccupati. Un campo franco dove le forze politiche si contendono a suon di vittorie alternate a sconfitte, la primogenitura di norme e leggi a colpi di cambiamenti anche radicali che al confronto le antiche «antilogie» di Carneade di Cirene, ricordato da Manzoni nei Promessi Sposi, sembrano delle filippiche prive di contraddizioni. L’unico risultato per noi presidi è quello di affrontare particolari acrobazie interpretative ufficializzate da contenziosi che si susseguono a ritmo vertiginoso sempre più animati da pseudo convincimenti generati da norme che inducono a fantastiche interpretazioni. La stabilità che ha goduto la scuola fino agli anni ottanta, le ha consentito di porsi all’attenzione delle famiglie con molta più forza propositiva. Erano gli anni della piena attuazione delle riforme approvate cercando il consenso, il più ampio possibile. Il compromesso era la prassi. Norme e leggi correvano in aiuto di docenti e presidi sensibili a coglierne gli aspetti più salienti sia sul piano pedagogico che su quello organizzativo, sia sul piano formativo che su quello educativo. Era un viatico interessante che aiutava a vivere e governare la scuola in modo qualificante fino a rivelarsi determinante nell’esercizio della stessa professionalità che coglieva in tutto questo delle autentiche opportunità. Docenti e presidi crescevano professionalmente in maniera assai convincente per riproporsi come testimoni diretti di processi didattici ed educativi oggetto di confronti, frutto e sintesi di differenti opinioni. Sono anni in cui trionfano le sperimentazioni. Ma ora tutto questo patrimonio culturale e pedagogico rischia di perdersi. Dov’è finito il processo formativo? Dove le opportunità di crescita professionale? Difficile a dirsi, ma anche difficile a farsi. Il tratto normativo di esclusivo appannaggio del legislatore, ha preso decisamente il sopravvento sui contenuti rivolti a chi è chiamato a darne applicazione. Le norme, che vengono cambiate di continuo, non consentono che un approccio frettoloso e interpretativo da parte di chi queste norme è chiamato a far valere. Il risultato è sotto gli occhi di tutti. La scuola non è più una risorsa, ma anzi è essa stessa considerata un grosso problema, una palla al piede; la didattica è soggetta a epocali applicazioni che richiedono forti investimenti non previsti dalle leggi finanziarie; la professionalità docente viene continuamente messa in discussione, mentre l’educazione è in perenne emergenza. E’ ora di cambiare completamente registro. Basta con le eccessive promesse di cambiamenti che rincorrono le strategie politiche ora degli uni ora degli altri. Il torpore morale in cui è caduto il mondo della scuola può essere pericoloso. Bisogna andare oltre per trovare nella sua valenza formativa le ragioni di una ricostruzione morale e sociale. La risposta può essere trovata nella necessità di passare dallo stile rivoluzionario, per cui tutto viene messo in discussione, allo stile evolutivo che consente di sviluppare l’esistente senza per questo buttare a mare ciò che è stato fatto. Gli opposti mettono sempre zizzania. Il giusto mezzo dell’opera svolta può diventare la giusta proporzione come metodo del cambiamento. La scuola non può trovare visibilità solo attraverso l’andamento autunnale delle occupazioni prese a sistema dagli studenti. La scuola deve ritornare ad essere di tutti e di questo i politici devono farsene una ragione. Quindi non più tagli, ma investimenti; non più pseudo autonomia scolastica, ma veri processi normativi che restituiscano alla singola scuola la sua capacità impositiva in campo metodologico, didattico, educativo e di valorizzazione delle risorse professionali. In tutto questo si devono trovare soluzioni che godano del principio della «giusta via di mezzo», che annulli gli estremismi e valorizzi gli equilibri. Un aiuto lo possiamo trovare nel concetto di medietà di Aristotele che lo applicò anche alla fisiognomica umana. Il nostro filosofo, ad esempio, si espresse simpaticamente sui peli dell’uomo, auspicando la «giusta via di mezzo» talchè, per un fattore estetico, non bisogna averne né troppi né troppo pochi. Per Aristotele, infatti, «quelli sproporzionati sono malvagi, quelli ben proporzionati sono giusti e coraggiosi». Può essere un utile consiglio anche per i tanti giovani che presi in maniera ossessionante dalle cure del proprio corpo, non lasciano scampo manco a un pelo.
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