Per i parti di notte non c’è l’epidurale

Il caso di una donna alle prese con il dolore. L’azienda: «Abbiamo il protossido di azoto che è un valido supporto»

«A Vizzolo partorire con l’epidurale di notte non si può. Assurdo». A lanciare l’allarme è una paziente moldava che ha presentato all’Azienda ospedaliera una serie di lamentele rispetto al reparto di ostetricia, in seguito al parto della sorella. «Da aprile del 2012 - commenta l’Azienda ospedaliera in una nota - cioè con l’arrivo del nuovo primario di ostetricia Michele Barbato e di quello di anestesia e rianimazione Giovanni Marino, abbiamo introdotto l’analgesia epidurale di giorno. Di notte, invece, resta disponibile, come durante il giorno, il protossido di azoto, un valido supporto che affianca l’epidurale».

A lanciare l’allarme è Virginia Hojmcichi, moldava di origini e da 10 anni a Melegnano, la quale denuncia anche di essere stata «messa alla porta dal reparto di neonatologia perché straniera».

Hojmcichi racconta la storia della sorella Cristina, 29 anni, mamma da domenica 9 giugno di Devin. Una storia a lieto fine, come tante altre che passano di qui, ma stavolta esplode un caso: i parenti accusano gli operatori di «razzismo» e questi si difendono.

«Un’infermiera in particolare ad un certo punto ci ha gridato che come stranieri è già tanto se abbiamo l’assistenza sanitaria – dice la sorella della neomamma-; mi ha cacciata e spedito al piano terra, senza nemmeno farmi vedere il nipote». Tutto ha inizio, nelle parole di Virginia, nella notte fra sabato 8 e domenica 9 giugno, quando Cristina, incinta di 9 mesi, non sposata, si avvicina al momento del parto. Virginia e Cristina filano in macchina da Melegnano all’accettazione dell’ospedale di Vizzolo e si mettono in coda al pronto soccorso.

È mezzanotte e mezza di domenica: in giro tutto deserto, l’ospedale lavora solo sulle urgenze. «Arrivata in reparto - dice la donna - sono stata messa alla porta perché mi hanno detto che di notte non si può stare lì, e poi che io non sono né il marito, né un parente abilitato ad assistere al travaglio. Io volevo assolutamente stare vicino a mia sorella. Un’assistente ha gridato che tutti gli stranieri dovevano uscire, andarsene di sotto».

La direzione però non ci sta: «La sorella della partoriente - spiega l’azienda- è stata invitata a tornare a casa in quanto la donna non era ancora in travaglio e la regola prescrive che il personale sanitario provveda a contattare i familiari, che non possono trascorrere la notte in ospedale, al momento opportuno, cioè a travaglio avviato. Condotta in sala parto la partoriente, accompagnata da un’amica ex ostetrica, dichiara di non voler consentire l’ingresso alla sorella e informa in proposito il personale sanitario. Pertanto, se la sorella non ha potuto accedere alla sala parto non è per volontà dei sanitari. Questi si sono semplicemente adoperati per far rispettare le esigenze e le esplicite richieste della paziente. L’azienda ospedaliera, poi, prevede l’accesso alla sala parto di Vizzolo da parte di una persona sola per volta. Hojmichi non ha partorito da sola, ma in presenza dell’amica. La sorella, poi, voleva vedere il neonato proprio mentre questi era ancora in sala parto con la madre. Per sicurezza non si fa e quindi la famiglia è stata invitata a lasciare il reparto. È inammissibile e offensivo che il personale venga tacciato di razzismo: le straniere seguite in ambulatorio sono circa il 60 per cento. Il personale opera attivamente per la salute di tutte le mamme. Si impegna inoltre per far rispettare le regole, a tutela di tutte le donne e soprattutto della salute dei piccoli».

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