Paure, sollievi e il nuovo anno che verrà

«C’è troppa cattiveria nel mondo» mi diceva l’altro giorno una signora mentre sorseggiavo un caffè al bar, evocando per questo il rischio di una catastrofe naturale punitiva. Parlava così perché aveva i nervi a pezzi per via dell’ennesima tesissima mattinata in ufficio. Almeno così mi aveva raccontato. Tuttavia sono del parere che non bisogna essere catastrofisti fino al punto da augurare l’arrivo di qualche cataclisma per mettere fine a tanta cattiveria, malvagità o malignità presenti al giorno d’oggi. Mi sembra più soft il Machiavelli che a tal proposito diceva «quando la malignità raggiunge un punto oltre il quale non si può andare, conviene di necessità che il mondo si purghi acciocché tutti gli uomini diventino migliori». Parimenti un futuro catastrofico è l’argomento presente in questi giorni su alcuni siti e sostenuto da studiosi o esperti competenti nel pronosticare, mediante convinzioni o calcoli algoritmici, il nefasto futuro del nostro pianeta. «La Terra si prepari all’estinzione di massa» è l’allarme lanciato da Joseph Nuth un cervello della Nasa che con un calcolo matematico presentato a un recente convegno di scienziati a San Francisco ha dimostrato che è vicino il periodo in cui la Terra potrebbe essere colpita da un corpo celeste simile a quello che causò l’estinzione dei dinosauri 65 milioni di anni fa. Altro nefasto annuncio circa un’imminente catastrofe planetaria, presagio della prossima fine dell’umanità, è stato dato alla stampa da Norah Roth, studiosa della Bibbia, nota nell’ambiente scientifico per i suoi qualificati studi sul catastrofismo da cui per fortuna al momento siamo scampati. L’allarme è contenuto nel suo ultimo articolo, apparso in questi giorni, dall’emblematico titolo: «2016, il tempo della fine», il che vuol dire che il 2016 è l’anno che preannuncia l’inizio della fine e indica nel capodanno 2017 come l’ultimo che l’uomo vivrà prima della catastrofe planetaria. I calcoli fatti al computer dalla Roth con uno strano algoritmo prendono il via dal «Libro di Daniele» dell’Antico Testamento e che una preoccupante profezia legata al numero «sette», vedrà “nel 2016 la fine dei seimila anni di peccato compiuti sulla Terra. Sarà il tempo della giustizia eterna” e in questo periodo l’umana progenie scomparirà. Per fortuna non chiarisce in quanto tempo tutto ciò accadrà. Io spero di campare il giusto necessario per mantenere una promessa fatta pubblicamente al mio direttore responsabile, ovvero di scrivere mille articoli settimanali da pubblicare sul “Cittadino”. Ho cominciato 15 anni fa, sono a buon punto, mi ci vogliono ancora «sette» anni. Ahia! Ancora il numero «sette». Comunque per carattere quando mi metto in testa una cosa la porto a termine. Ora qualcuno mi potrà dire che questi sono gli ennesimi annunci sulla fine del mondo che vengono lanciati su internet. E’ vero. Spero che, sia Joseph Nuth della NASA con i suoi calcoli del ciclico ritorno di corpi celesti distruttivi sulla Terra sia l’algoritmo catastrofico di Norah Roth, sbaglino pianeta. Tuttavia il continuo stillicidio di simili notizie o di interpretazioni catastrofiche che studiosi o esperti di turno amano fare, sono utili per esorcizzare il tempo che viviamo. Viviamo, infatti, un tempo di inaudita violenza, un tempo carico di tante piccole guerre scoppiate qua e là sul nostro pianeta, un tempo in cui si è persa la visione umana della realtà, un tempo in cui prevale la perdita della prospettiva etica del prossimo. Non esiste più l’uomo in quanto tale, ma esiste un “tale” che non consideriamo più uomo. Di qui la violenza inaudita che caratterizza i rapporti tra persone, tra etnie, tra frange religiose, tra civiltà, tra Occidente cristiano e Oriente arabo-islamico. Lo scontro prende consistenza più dell’incontro. Tutto questo pare trovare conferma nelle tante catastrofi umanitarie che impensieriscono “gli uomini di buona volontà”. Se per visione catastrofistica intendiamo i tanti brutti servizi giornalistici che quotidianamente ci propinano i mass-media, tuttavia testimoni diretti di quello che sta accadendo nelle varie parti del mondo, allora dobbiamo ammettere che la visione della fine del mondo è sotto gli occhi di tutti. Basti pensare alla città martire di Aleppo e al sacrificio umano a cui è stata sottoposta per tanto tempo ed è ancora sottoposta la sua popolazione. Proviamo per un attimo a pensare ai diversi attentati che continuano a colpire sia l’Europa che altri diversi Paesi con centinaia d vittime innocenti. Sono solo alcuni riferimenti a fatti drammatici che la storia ha consegnato alla memoria e che fanno gridare basta a tutta questa violenza. Forse la signora che ho incontrato al bar mentre sorseggiavo il caffè aveva ragione quando mi ricordava che «c’è troppa cattiveria nel mondo». Ma il mondo è anche la realtà che ci circonda, quella a noi più vicina e se ci guardiamo intorno basta poco per accorgerci delle centinaia di donne uccise (l’ultimo femminicidio il giorno della vigilia di Natale in provincia di Verbania), del dolore e della sofferenza che continuano a colpire i genitori delle piccole vittime nella terra dei fuochi, dei tanti migranti morti nelle traversate per fuggire dalle martoriate terre. Si può essere cattivi anche quando stiamo a guardare indifferenti i tragici avvenimenti che si susseguono o, peggio ancora, godere del male che colpisce gli altri. Mi piace ricordare Carlo Cassola scrittore del seconda metà del novecento quando in un suo bel libro, che fa parte delle mie storiche letture, «La ragazza di Bube», fa dire alla sua protagonista «È cattiva la gente che non ha provato il dolore. Perché quando si prova il dolore, non si può più voler male a nessuno». Per tutto questo forse non c’è bisogno di approfondire la teoria di Norah Roth con il suo “background matematico” per scoprire che siamo vicini alla catastrofe umanitaria a causa della cattiveria degli uomini o le previsioni di Joseph Nuth della NASA sull’estinzione di massa a causa di un evento celeste. Le catastrofi e i pericoli li stiamo già vivendo nel nostro tempo per i quali il Santo Padre non smette mai di spendersi per richiamare l’uomo alla sua originaria identità umana e cristiana. C’è bisogno di un nuovo umanesimo integrale alla Jacques Maritain tanto per intenderci. Intanto per concludere auguro a tutti “una buona fine e un buon principio” con riferimento all’anno vecchio che se ne va e al nuovo che verrà. Naturalmente.

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