Paullo, mese da incubo per una famiglia: tutti con il Covid, in due in ospedale, il figlio a casa da solo

Febbre, mal di testa, dieci giorni di cure a domicilio, poi il crollo e il ricovero

Non pensi mai che possa capitare a te. Eppure succede e in un attimo «si vede la morte in faccia» e «anche quando guarisci continui ad avere paura, a dormire con gli incubi». Lo raccontano i paullesi Barbara e Paolo, 54 anni, che con il figlio 25enne Andrea, hanno dovuto combattere la loro personale lotta contro il virus che è durata un mese. I genitori all’ospedale di Vizzolo e il figlio isolato a casa. «È cominciato tutto il 7 febbraio, con qualche linea di febbre, che però si è alzata fino a 39 il giorno dopo», racconta Barbara. Solo lei, all’inizio, accusava i sintomi, ma con il marito (con forti mal di testa) hanno deciso di sottoporsi al tampone. «Il 9 di febbraio abbiamo fatto il tampone, che è risultato positivo», spiegano i due coniugi. Ma le condizioni, inizialmente non destavano grandi preoccupazioni, così Barbara e Paolo hanno potuto seguire le cure da casa. «Avevamo a disposizione anche un saturimetro e tenevamo monitorata la saturazione del sangue, che era regolare – ricorda Barbara -. Una condizione che va avanti per una decina di giorni: io avevo febbre alta, mio marito no, ma nel frattempo si è ammalato anche mio figlio. Isolati, speravamo di poterci curare tutti a casa, ma non è stato così». Improvvisamente, Barbara e Paolo hanno avuto un crollo. «Siamo andati a dormire la sera prima, la saturazione era ottima, ma alla mattina nessuno dei due stava bene - raccontano Paolo e Barbara -. Abbiamo misurato la saturazione ed era scesa vertiginosamente, quindi abbiamo chiamato il numero unico di emergenza e un’ambulanza, dopo averci sottoposto a ossigenazione, ci ha portato in ospedale il 17 febbraio». I genitori in ospedale e il figlio a casa, costretti a una distanza forzata. «Siamo stati accolti al pronto soccorso Covid e in poco tempo ci hanno fatto una serie di esami – racconta Barbara -. Io inizialmente sono stata collocata presso il reparto Medicina B, mentre mio marito in condizioni più gravi in terapia sub intensiva. Purtroppo, nella notte tra il 18 e il 19, sono peggiorata e anch’io sono stata trasferita in terapia sub intensiva. Siamo stati curati con professionalità, mi vien da dire con amore. Eravamo distanti dai nostri affetti, ma questa distanza le infermiere e i medici con la loro umanità non ce l’hanno fatta sentire. Ci sentivamo in famiglia». E quando la malattia è stata sconfitta e per prima Barbara ha potuto ritornare a casa e il giorno dopo anche il marito, lo sguardo del personale dell’ospedale è loro mancato. «Sembra assurdo, ma ho pianto salutando tutti – dice Barbara -. Sono nate delle amicizie: ci sentiamo ancora oggi e devo dire che mi fa piacere». E per certi serve, perché la battaglia di Barbara, Paolo e Andrea non è ancora finita, nonostante la guarigione. «La malattia lascia i suoi segni, che sono stanchezza e sonnolenza, ma è un sonno agitato carico di incubi - raccontano Barbara e Paolo -. Ci vorrà tempo per riprendersi fisicamente, forse molto di più per riprenderci psicologicamente».

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