OSPEDALI E MEDICI DI FAMIGLIA La nuova sanità lombarda e i problemi del Lodigiano

L’editoriale del direttore del «Cittadino» Lorenzo Rinaldi

Entro fine novembre/inizio dicembre il consiglio regionale lombardo approverà il progetto di legge 187, chiamato a riorganizzare il sistema sanitario. Una riforma è indispensabile, perché la pandemia ha evidenziato una profonda frattura tra un sistema ospedaliero di eccellenza (pubblico e privato) e una sanità territoriale debole e sempre meno in grado di rispondere alle esigenze, anche minime, dei cittadini-contribuenti.

Il progetto di legge prevede un potenziamento della medicina territoriale (per intenderci quella dei medici di famiglia e delle prestazioni fuori dagli ospedali) e dell’ambito della prevenzione.

La sanità lombarda continuerà a essere organizzata attraverso le Aziende socio sanitarie territoriali (le ex aziende ospedaliere) e le Agenzie di tutela della salute (le ex aziende sanitarie locali). Le Asst saranno articolate in polo ospedaliero e rete territoriale. È prevista poi la definizione di Distretti, costituiti sulla base di un numero minimo di abitanti e nei quali i sindaci avranno un ruolo privilegiato.

Tra le novità della riforma regionale spiccano le Case della comunità, le Centrali operative territoriali e gli Ospedali di comunità.

Per quanto finora ufficialmente spiegato, nelle Case della comunità opereranno team multidisciplinari e saranno il punto di riferimento per i malati cronici. Nel Lodigiano sono previste Case della comunità a Lodi, Casalpusterlengo, Codogno, Sant’Angelo Lodigiano e Zelo Buon Persico.

Le Centrali operative territoriali avranno la funzione di coordinare i servizi domiciliari con gli altri servizi sanitari e si avvarranno di telemedicina e medicina digitale.

Gli Ospedali di comunità si occuperanno di ricoveri brevi e di pazienti che necessitano di interventi sanitari a media/bassa intensità clinica. Nel Lodigiano saranno collocati a Casalpusterlengo e a Sant’Angelo, lasciando dunque intendere che i poli per acuti, con la presenza anche del Pronto soccorso, rimarranno Lodi e Codogno.

Tra le novità della riforma troviamo poi l’istituzione a livello regionale del Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie infettive. E ancora, per citare gli elementi di maggior impatto sui cittadini, dovrebbe essere rafforzato il ruolo del volontariato - «non in forma sostitutiva di servizi» - ma «nella proposta, definizione, monitoraggio e miglioramento delle politiche regionali in materia sanitaria e socio sanitaria».

La nuova legge interviene con elementi che - si spera - possano migliorare la situazione; di fatto si inserisce nel solco del modello di sanità disegnato da Roberto Formigoni e mai modificato, né da Maroni, né da Fontana, e dunque il concetto di sussidiarietà (posso scegliere se farmi curare dal pubblico o dal privato convenzionato) non viene messo in discussione.

Fin qui il quadro della situazione. Rimangono però numerosi punti interrogativi ed elementi di debolezza. Ne abbiamo individuati cinque.

1) La riforma sanitaria regionale non andrà a incidere in maniera significativa sul problema dei medici di famiglia. Già oggi sono poco numerosi (e impegnati spesso a compilare carte) e la prospettiva a breve - complice nuove ondate di pensionamenti - è di una ulteriore contrazione. Si tratta di un problema nazionale per il quale ancora non si avverte la dovuta attenzione. Tuttavia nei nostri centri più piccoli la situazione è in alcuni casi drammatica. Lo denunciano i sindaci.

2) Le liste di attesa nella sanità lodigiana rimangono un problema serio e attuale. Non è un caso che, negli ultimi anni, siano sorti centri privati che offrono i medesimi servizi del pubblico, ma a pagamento e in tempi rapidi. Il più grande gruppo privato italiano della sanità, il Gruppo San Donato, nei mesi pre pandemia ha effettuato un investimento milionario a Pieve Fissiraga, alle porte di Lodi. Se non avesse individuato punti di debolezza nella sanità pubblica locale (e le liste d’attesa per taluni esami lo sono) e di conseguenza una prospettiva di profittabilità economica non avrebbe speso fior di quattrini. Così come risulta che uno dei principali operatori nazionali del settore abbia investito sul polo privato della sanità Medical Center che sorge lungo la tangenziale di Lodi. E il colosso Maugeri è pure sbarcato nella nostra provincia entrando in Lodi Salute.

3) Da troppi anni la sanità lodigiana è esposta al valzer dei dirigenti apicali. Se è vero che Giuseppe Rossi (oggi a Cremona) è rimasto all’allora Azienda ospedaliera di Lodi per un numero congruo di anni (gennaio 2008 - dicembre 2018), così non è stato per altri, che in taluni casi hanno avuto giusto il tempo di capire dove erano “atterrati” (e magari di distinguere Caselle Lurani da Caselle Landi) per essere successivamente trasferiti ad altri lidi, senza mai rispondere degli errori commessi di fronte all’opinione pubblica. E il problema si ripercuote anche sulle seconde linee.

4) L’ospedale Maggiore di Lodi non è più in grado di sopportare il peso dell’intera provincia, o quasi, tenuto conto che alcuni servizi a Codogno non ci sono più e che il Basso Lodigiano si sta spopolando (a eccezione delle cittadine) mentre l’area di Lodi e quella dell’Alto Lodigiano vedono crescere il numero di residenti. Oggi, in provincia di Lodi, ad esempio, si nasce unicamente all’ospedale Maggiore. Un ospedale vecchio, situato peraltro in un contesto urbano che ne impedisce un allargamento, circondato dal traffico caotico. Piacenza, Cremona e Bergamo (territori a noi vicini) hanno già realizzato - o lo faranno a breve - nuovi ospedali moderni e in grado di rispondere alle esigenze dei cittadini. Lodi no. In questo caso però la colpa non è tanto dei dirigenti medici quanto della politica locale. E non è un problema recente.

5) Ci auguriamo di tutto cuore che la riforma della sanità lombarda possa rappresentare un elemento di svolta. Non ci aspettiamo tuttavia risultati straordinari nell’arco di poco tempo, semplicemente perché ciò sarebbe impossibile. Le novità ideate dalla Regione andranno a impattare su un sistema estremamente complesso e con una burocrazia pesante, che richiede tempi lunghi per assimilare e mandare a regime i cambiamenti. Bisogna essere onesti e dirlo chiaramente ai cittadini.

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