Non si può mostrare l’ombelico

Pitagora lo conosciamo bene sia come filosofo che come matematico. Assai noti sono i suoi teoremi matematici e le sue teorie filosofiche, come pure le stravaganti regole e certi assurdi divieti a cui erano sottoposti i suoi allievi. Eppure, a ben riflettere si rivela alquanto moderno come impostazione educativa dal momento che ha posto le basi per affrontare i tanti problemi che affliggono, ancora oggi, le nostre scuole. Dai «Commentari» pitagorici, giunti a noi grazie alla figlia Damona custode affidataria dell’opera, si apprende, tra l’altro, di una decisione presa dal Maestro per regolare l’accesso alla sua scuola. Una specie di collegio aperto ad aspiranti allievi di entrambi i sessi, riuniti in gruppi misti sottoposti a regolamenti rigidi. Per entrare gli aspiranti allievi dovevano affrontare quelli che noi oggi chiamiamo «test d’ingresso». Nulla a confronto di certe altre dure condizioni come, ad esempio, il voto di castità, l’alimentazione, l’abbigliamento. Niente educazione sessuale, ma tanta educazione alimentare e soprattutto decoro personale. Banditi dalla tavola della mensa erano il vino, la carne, le uova e, chissà perché, le fave, evidentemente non andava d’accordo con questo legume (eppure sono così buone se mangiate con la cicoria). Di non trascurabile importanza era la cura che si poneva all’abbigliamento degli allievi. Alla sua scuola, frequentata da collegiali interni, con permanenza in collegio giorno e notte e da esterni, che tornavano a casa al termine delle lezioni, approdavano allievi di ogni credo spirituale, di ogni rango sociale e di ogni condizione economica. Allievi blasonati studiavano fianco a fianco ad allievi senza né arte né parte; ragazzi educati, ben vestiti e di sani principi convivevano con ragazzi educati male, problematici e privi di un benché minimo decoro estetico. Non c’è che dire. Aveva il suo bel da fare il Maestro aiutato in questo dagli esoterici che rappresentavano la più stretta cerchia di allievi iniziati, i soli ai quali era consentito avvicinarsi a lui. Una popolazione scolastica piuttosto variegata da istruire, educare, con un problema in più: l’abbigliamento. Un problema che il Maestro di Crotone risolse, imponendo una divisa che dava ai suoi allievi un senso di appartenenza, che offriva un elemento di decoro estetico e che li distingueva chiaramente dagli allievi delle altre scuole presenti sul territorio. Se Pitagora fosse tornato in vita a dirigere una scuola oggi, si sarebbe messo le mani tra i capelli nel vedere le scuole frequentate da studenti privi di qualsiasi regola in fatto di abbigliamento. Sono di casa, infatti, nelle scuole, pantaloni strappati, gonne corte, top dalle scollature fuori ordinanza, bermuda, pantaloni a vita bassa tanto da offrire alla vista di ignari spettatori l’ombra di «oscuri canyon» alquanto sgradevoli, canotte stile «poveri ma belli» con peli ascellari a vista irroranti problemi olfattivi, hot pants, braghe corte, shorts, ciabatte infradito e tanti altri fantastici capi di abbigliamento che con la scuola non hanno nulla a che vedere. Pitagora, ne sono sicuro, sarebbe stato colpito da un tremendo mal di stomaco nel vedere tanto lassismo, lo stesso male con cui ha dovuto fare i conti il mio collega dell’Istituto Superiore «Malignani» di Cervignano del Friuli, Aldo Durì. Lo stesso che si è già imposto all’attenzione mediatica per una circolare che sconsigliava i docenti di fare amicizia su Facebook con i propri allievi. Questa volta a fare notizia è la circolare diramata la scorsa settimana con esplicito divieto, rivolto agli allievi e personale, a indossare capi di abbigliamento poco decorosi e apertamente in contrasto con l’ambiente scolastico. Evidentemente l’avvicinarsi della bella stagione congiuntamente alla voglia dei ragazzi di arrivare a scuola già pronti per la spiaggia, la montagna e l’aperitivo al pub, hanno indotto il mio collega a prendere le dovute precauzioni. Un’iniziativa da prendere in seria considerazione visto che oramai su questo versante l’esagerazione sta prendendo il sopravvento. Si è capito già da tempo che in famiglia fanno fatica i genitori a far capire ai propri figli quanto sbagliato sia andare a scuola con un certo abbigliamento. Il problema, infatti, sta proprio qui. Perché i genitori non collaborano con le istituzioni scolastiche per educare i ragazzi a indossare abiti adatti all’ambiente scolastico? Perché lasciano che i ragazzi escano di casa già pronti per le spiaggia, per la montagna o per il pub? Come si vede a monte c’è sempre una mancata collaborazione da parte della famiglia. Sarebbe già un successo sapere di poter contare sulla collaborazione in ambito educativo da parte dei genitori, ma ahimè anche in questo delicato compito spesso ci si trova su sponde completamente opposte. Un po’ perché si afferma la debolezza educativa dei genitori, un po’ perché essere in disaccordo con le istituzioni significa essere in sintonia con i tempi moderni. Molti genitori, infatti, tendono non solo a giustificare un certo tipo di abbigliamento in quanto considerato semplice espressione esteriore di una persona nell’ambito di una libera scelta da garantire ad ogni soggetto, ma anche a considerare la libertà di vestirsi come una conquista sociale, come un’affermazione di se stessi contro la politica del divieto che tanti danni finisce per provocare nei rapporti con i ragazzi. C’è il vizio, tutto italico, di buttare qualsiasi questione in politica. Eppure ci sono delle variabili socio-educative che dovrebbero farci riflettere più di ogni altro tipo di considerazione. C’è per esempio la variabile rigore. E mi spiego. Se al Ministero si rendessero più conto di come arrivano vestiti a scuola i ragazzi, se al Ministero fossero d’accordo nel sottolineare l’importanza del bon ton, del buon senso, del buon gusto, della buona educazione, allora forse sarebbe più logico che certe norme più che essere affidate alla sensibilità dei presidi, dovrebbero essere ben determinate e di emanazione ministeriale. In Francia, ad esempio, il fenomeno delle «lolite» (si parla di bambine di scuola elementare) ha indotto da una parte molti miei colleghi transalpini ad approvare regolamenti per mettere al bando trucco, minigonne, short e tacchi a spillo, dall’altra il Parlamento a vedere nella divisa una possibile soluzione. Vuoi vedere che Pitagora già nel VI secolo a.C. aveva ragione?

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