Essere solidali, condividere particolari e significative esperienze, accorrere in aiuto di qualcuno rappresenta un valore che arricchisce non solo chi lo riceve, ma anche e soprattutto chi lo mette in pratica poiché diventa un’occasione per crescere e scoprirsi sensibili in un mondo governato per lo più da egoismo e indifferenza. Però. A ben riflettere c’è sempre un però. Talvolta non è affatto così, anzi accorrere in aiuto di qualcuno, talvolta si finisce col schierarsi dalla parte sbagliata poiché si finisce col condividere ingiustizia e illegalità fino a diventare complici di violenze e malefatte. Ma andiamo per gradi. Ha fatto il giro del mondo la notizia proveniente da una scuola elementare di Marivan in Iran dove un maestro si è prodigato a sostenere psicologicamente e moralmente un allievo che in pochi giorni, a causa dalla prima paginaNon sempre la solidarietà è una virtùuna rara malattia, ha perso tutti i capelli. Nel giro di qualche giorno questo ragazzino, un po’ per ignoranza dei compagni di scuola pronti a denigrarlo, un po’ per scelta propria si è chiuso in un mutismo preoccupante fino a isolarsi completamente. Anzi per certi versi è stato fatto oggetto di vessazioni e umiliazioni da parte dei tanti bulletti che in qualsiasi scuola del mondo non mancano mai. Un bambino di sette anni che da sereno e solare qual era, con un’ottima performance scolastica, diventa triste, taciturno, incupito e dal rendimento scolastico in preoccupante discesa. Il suo maestro Alì Mohammadian ritiene la situazione inaccettabile e decide di intervenire nella maniera più originale, ma più incisiva possibile. Si taglia i capelli a zero e affianca l’alunno nelle sue attività scolastiche. Ben presto l’iniziativa viene condivisa da tutti gli altri alunni della classe. Tutti, infatti, si radono a zero, dimostrando così solidarietà, vicinanza e affetto al loro compagno così duramente colpito. Un gesto di solidarietà che non passa inosservato. Tutta la stampa iraniana ne parla e ben presto il maestro viene additato pubblicamente come esempio di valore morale, espressione di condivisione e rispetto della dignità altrui. Non c’è che dire un bell’esempio di solidarietà. Non altrettanto si può dire dei ragazzi dell’Istituto Tecnico per il Turismo «Claudio Varalli» di Milano. Tutto ha inizio con un’occupazione forzata, messa in atto da uno sparuto numero di studenti a cui giungono critiche e dissenso non solo dalla maggioranza degli studenti, ma anche da insegnanti e genitori. La preside, da parte sua, non riuscendo a mediare, informa gli studenti sulla grave decisione presa che si configura come interruzione di un pubblico servizio. Le conseguenze non tardano ad arrivare. La mia collega, Eliana Pacchiani, pur ritenendo l’occupazione «un atto gravissimo e violento», evita di presentare una denuncia all’autorità giudiziaria, di contro sentiti i docenti e i suoi più stretti collaboratori, convoca in seduta straordinaria i consigli di classe. L’esito è da immaginare. Tutti i ragazzi coinvolti nell’occupazione vengono sospesi per 15 giorni e col cinque in condotta al primo quadrimestre. Le delibere dei consigli di classe vengono contestate dai ragazzi poiché ritenute eccessive e sproporzionate rispetto all’entità dei fatti accaduti. Ma le decisioni non cambiano. A questo punto scatta l’ora della fratellanza. Arrivano da altre scuole ragazzi per portare solidarietà e incoraggiamento agli espulsi che annunciano altre iniziative contro la preside e i docenti. Come risposta si ha un ulteriore atto di violenza. Siamo proprio sicuri che questa sia solidarietà? Direi proprio di no. Anzi. Qui siamo di fronte a iniziative intimidatorie spacciate per atti di solidarietà e di incoraggiamento che hanno il solo scopo di condizionare l’attività professionale dei docenti chiamati a valutare il comportamento dei propri allievi. Ma questi si sentono in diritto di non accettare le decisioni prese dai consigli di classe; sentono di dissentire poiché, con molta probabilità, non riconoscono nei propri docenti quel ruolo educativo a cui sono chiamati; credono di porsi come interlocutori in una pseudo trattativa che porta a indebolire la funzione docente come figura educativa. Nossignore. Ha fatto bene la preside a preferire l’iniziativa interna alla denuncia tesa a valutare il comportamento degli studenti; hanno fatto benissimo i docenti a prendere la decisione che hanno preso senza condizionamenti o pressioni esterne. I ragazzi violenti vanno isolati soprattutto quando vogliono imporre come minoranza chiassosa il proprio credo alla maggioranza educata, composta e silenziosa. I docenti hanno agito come educatori chiamati a valutare e censurare i gravi comportamenti messi in atto dagli studenti. Parimenti è da censurare con forza il falso senso di solidarietà a cui abbiamo assistito. Ragazzi che accorrono in aiuto di chi ha fatto della tracotanza una proposta interlocutoria. Questi ragazzi devono sentire, anche a costo di pagare di persona, il peso della propria responsabilità in quello che dicono e in quello che fanno. Si parla spesso di avere comprensione soprattutto per i ragazzi, ma non in questo caso; di affiancarli nei momenti di difficoltà per far fronte a particolari situazioni psicologiche che, se non rimosse, possono condizionare le relazioni tra persone fino a creare condizioni di isolamento sociale. E questo non deve lasciarci indifferenti. L’aiuto è fondamentale. Anche Cratete ha fatto la sua parte. E’ Diogene Laerzio a raccontare questo simpatico episodio tragicomico nel suo «Vite dei filosofi». Si parla di Metrocle fratello di Ipparchia una delle prime donne filosofe dell’antica Grecia. Metrocle era un giovane filosofo, discepolo di Cratete, timido e taciturno. Un bel giorno mentre era in palestra con tanti suoi coetanei intento ad eseguire esercizi ginnici, gli scappa una rumorosa flatulenza. Apriti cielo. Viso rosso, occhi bassi e capo chino, cerca con ansia un angolo della palestra ove nascondersi. Sente una tale vergogna per quanto accaduto da meditare persino il suicidio. Per intercessione di Ipparchia interviene in suo aiuto Cratete, filosofo, autore tra l’altro di molte tragedie. Cratete lo aiuta alla sua maniera. Mangia un bel piatto di lupini, li lascia prima fermentare poi, sempre in palestra in compagnia del suo discepolo, si fa notare da tutti con una rumorosa flatulenza. Come si vede in fatto di solidarietà, a ognuno il suo sistema.
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