«Noi, medici di famiglia sempre in prima linea»

La lettera di protesta dei camici bianchi dopo le dichiarazione dell’assessore Moratti a Bergamo

«Dichiarazioni che evidenziano scarsa conoscenza della realtà lavorativa della medicina di famiglia e mettono in dubbio la professionalità e l’impegno dei medici di medicina generale». I quali si sono sacrificati nella lotta al Covid durante la prima ondata con decine di «morti sul campo», perché impossibilitati a procurarsi le necessarie protezioni individuali. È scontro tra i medici di medicina generale lombardi e l’assessore al Welfare Letizia Moratti, le cui parole sabato nel corso di una visita all’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo hanno suscitato la reazione dei presidenti degli Ordini provinciali della Regione Lombardia. C’è anche la firma del dottor Massimo Vajani, presidente dell’Ordine provinciale di Lodi, in calce alla lettera che i presidenti hanno inviato al governatore di Regione Lombardia Attilio Fontana e all’assessore Moratti.

Le parole dell’assessore

Letizia Moratti aveva parlato della mancanza di medici di famiglia come di una percezione del pubblico «non data dal numero ma dall’organizzazione» perché lavorerebbero meno di altri colleghi ospedalieri: «Lavorano per un numero di ore profondamente diverso rispetto alle ore di chi lavora all’interno delle strutture ospedaliere e sanitarie». Le frasi di Letizia Moratti avevano sollevato subito le rimostranze dei sindacati, ma ieri è arrivata anche la lettera firmata dai presidenti degli Ordini provinciali.

I dottori non ci stanno

«La medicina del territorio sta subendo le conseguenze dovute a una grave e reale carenza di medici di medicina generale e pediatri di libera scelta a causa di un clamoroso errore di programmazione, da noi da anni denunciato, che determina un insufficiente ricambio generazionale e che non permette un’adeguata ed efficiente copertura delle zone carenti – si legge nella lettera -. Tale situazione obbliga i medici di famiglia a un impegnativo e inaccettabile ampliamento del massimale degli assistiti». L’attività ambulatoriale, citata da Letizia Moratti, è solo una parte del lavoro del medico di medicina generale, come spiegato nella lettera, affiancandosi a questa le visite domiciliari, le attività sul territorio, l’espletamento delle attività burocratiche, i contatti a distanza con i pazienti. E quando la Moratti parla di rapporto di lavoro di dipendenza, i presidenti provinciale FROMCeO fanno presente all’assessore che «applicando le regole di tale rapporto di lavoro (malattia, Inail, tutela gravidanza, legge 104 e altro) servirebbe almeno il 30 per cento in più di personale medico».

Un’apertura al dialogo

La lettera chiude comunque con la disponibilità alla collaborazione «nell’interesse dei cittadini lombardi» auspicando il coinvolgimento delle «competenze della professione in un processo di riforma che non può basarsi su ideologie e preconcetti, ma deve fondarsi sulla realtà dell’assistenza».

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