«Mi preoccupa l’impatto ambientale
del supermercato all’ex Consorzio»

L’intervento di Giusi Rossi sul progetto urbanistico dell’Esselunga in stazione

IL MIO ELOGIO ALLA CITTA’

Gentile Direttore

Da cittadina Lodigiana, mamma, insegnante e architetto, da sempre sensibile alle tematiche ecologiche e di sostenibilità urbana, desidero contribuire al dibattito che si sta animando in questi giorni intorno al progetto di riqualificazione dell’ex consorzio agrario di Lodi.

Ho sempre ritenuto che la progettazione e pianificazione dello sviluppo urbano fosse un compito fondamentale, di grande responsabilità, sia da un punto di vista strettamente ambientale che da quello antropologico e sociale. Per questo motivo ho scelto, dopo la laurea in Architettura, di specializzarmi nell’ ambito della sostenibilità urbana, tramite percorsi che approfondissero maggiormente le implicazioni sociologiche che derivano proprio dalla pianificazione urbana e territoriale. In fondo il bilancio sulla sostenibilità di un luogo deve tener conto , oltre che degli aspetti tecnici, estetici, funzionali e di efficienza, anche di quelli umani, delle aspirazioni delle persone che in quel luogo vi abitano.

Il modello di città che ci dovrebbe stare a cuore e che dovremmo progettare, come eredità per i nostri figli e nipoti, è quello di una città che torni ad avere un forte ruolo sociale ed umano, ovvero quello di elevare la persona e favorire la crescita di una comunità umana. Ricordo che le forme dello spazio e le scelte che su di esso pratichiamo sono in grado di orientare comportamenti e rapporti.

Avere l’opportunità di riqualificare un’area urbana di grandissimo pregio da un punto di vista strategico e recuperare fabbricati di enorme valenza storica, come quelli dell’ex consorzio agrario di Lodi, è un’occasione davvero unica, che avrebbe meritato un’attenzione differente.

Sono molte le cose che mi preoccupano.

Mi preoccupa moltissimo l’impatto ambientale in termini di inquinamento atmosferico ed acustico, considerate le dimensioni della struttura commerciale che si vorrebbe realizzare. Analizzando il progetto, che prevede un intervento massiccio sulla viabilità della città, a servizio della struttura commerciale, pare evidente che il polo commerciale intenda soddisfare una utenza proveniente da un bacino ben più ampio di quello cittadino e dover accogliere quindi flussi di traffico importanti in zone della città già congestionate e sofferenti per via l’inquinamento.

La città che si modifica e si stravolge per “servire”un ipermercato. La città che si fa infrastruttura, “non luogo”.

Ricordo che da quanto risulta dall’ultimo report annuale “Mal’aria” stilato da Legambiente e riferito al 2019, Lodi risulta la seconda città italiana ad aver registrato i peggiori dati di inquinamento atmosferico riferiti al superamento dei limiti giornalieri previsto per le polveri sottili (Pm10).

Mi chiedo allora dov’è finita l’emergenza ambientale? La pandemia da Covid-19 sarebbe dovuta essere un’occasione per ripensare la società, soprattutto dal punto di vista ecologico, ma evidentemente mi sono illusa. Ci siamo illusi.

Mi preoccupa molto pensare che in una zona così centrale della nostra città, molti dei piccoli commercianti che già resistono con grandi sacrifici, saranno costretti a chiudere i battenti privando le strade della città di quella fitta rete di relazioni umane e della vitalità che ne anima le vie.

Gentile Direttore, a tal proposito, ho letto la sua risposta a Silvia Sinibaldi, intervenuta sul Cittadino lo scorso 3 Agosto. Trovo corretto aver posto l’attenzione sui comportamenti dei singoli cittadini, che inevitabilmente hanno ricadute su tutta la collettività, essendo i veri protagonisti del mercato, il quale stabilisce le sue regole in base a tali comportamenti. Mi lasci però solo aggiungere che non credo che il tema in questi giorni sia “Ipermercati si o ipermercati no”, “Esselunga si o Esselunga no”. Il tema è “perché proprio in quell’area?”. Esselunga è la benvenuta a Lodi a patto che non sottragga alla città un luogo che potrebbe ospitare altre funzioni più attinenti alla vocazione originaria e meno impattanti da un punto di vista ambientale.

Inoltre, terrei a precisare, che il comportamento del singolo consumatore è un’azione inserita in un circolo “vizioso” o “virtuoso”, a seconda della prospettiva da cui osserviamo il fenomeno. Intendo dire che anche le scelte che fa un’amministrazione incidono nell’orientare comportamenti. In una qualche misura anche il mestiere dell’urbanista, del politico che amministra rivestono ruoli educatori. Il concetto di comunità educante dovrebbe uscire dal confine delle mura scolastiche, in cui è relegato, e interessare l’intera collettività. La politica dovrebbe sentire questa responsabilità dal momento che dalle sue scelte scaturiscono stili di vita e comportamenti. La Politica educa (o diseduca).

Lei inoltre scrive in maniera provocatoria, e per questo la ringrazio, che “tutti” siamo a favore dei negozi di vicinato ma che “tutti” facciamo la spesa al supermercato. Nulla di più vero. E’ anche vero però che esiste una via di mezzo. Per sostenere i piccoli commercianti non è necessario boicottare i supermercati o ipermercati, realtà ormai indispensabili per il nostro sistema di vita. Si può fare la spesa “grossa” al supermercato e decidere che alcuni prodotti saranno acquistati dai negozi di vicinato. Come immaginare la mia vita di quartiere senza il macellaio, il fruttivendolo, il panettiere e il pasticcere?

Io, nel mio piccolo ci provo. Ci vuole solo un po’ di impegno che è enormemente ripagato in termini di relazioni umane e qualità di ciò che acquistiamo. Per cambiare non occorre pensare che un singolo debba stravolgere interamente le sue abitudini, ma se tutti o tanti modificano anche un solo comportamento, la somma dei tanti è comunque un grande successo per la collettività e l’ambiente.

Possiamo farcela a costruire città più giuste ma occorre umiltà e confronto, amore per i luoghi e le persone. Certamente l’educazione ha un ruolo fondamentale e come madre e insegnante sento molto questa responsabilità, ma occorre riscoprire, come dicevo, che non si educa solo a scuola o facendo il genitore. Si educa facendo politica, facendo onestamente il proprio lavoro, si educa comportandosi da cittadino consapevole.

Mi preoccupa sentire affermare con estrema sicurezza che il “progetto Esselunga in è una grande occasione per la città di Lodi”. Queste dichiarazioni sono la sintesi di una società impoverita, assuefatta e assoggettata alle leggi del consumo e priva di una qualsivoglia visione di futuro. Progettare una città significa porre oggi le basi per il futuro. Significa chiedersi che modello di città intendiamo costruire, che genere di comunità intendiamo essere. Sostenibilità è un termine che forse si sta svuotando del suo significato. Questo non può avvenire perché siamo tenuti a progettare città sostenibili. Mi piace chiamare le cose con il proprio nome. Una società sostenibile è quella società in grado di soddisfare i propri bisogni senza compromettere quello delle generazioni future.

Allora mi chiedo. Cosa stiamo costruendo per in nostri giovani? Quale città lasciamo in eredità ai nostri bambini?

Io credo che una città sostenibile, della quale i nostri figli potranno “sostenere” il peso e meglio ancora fruirne la Bellezza, sia una città che pone la Cultura e l’ambiente naturale al centro. Non possiamo smettere di parlare di questo. Non dobbiamo dare per scontato ciò che abbiamo e soprattutto il valore profondo che vi si racchiude. Dibattere di un argomento così importante per me significa tornare ai significati, al senso profondo che guida le nostre scelte.

L’ex consorzio agrario di Lodi è un sito dalla forte valenza storica, ma anche simbolica se pensiamo alla vocazione agricola del territorio lodigiano, alla ricchezza che da essa ne è scaturita, ma anche alle implicazioni ambientali che agricoltura e allevamenti intensivi hanno prodotto in un territorio già penalizzato dalla sua conformazione naturale. Come si può pensare che un progetto come quello del Megastore, che ho cercato di approfondire, possa recuperare la memoria dell’ex consorzio agrario? Come architetto nutro enormi perplessità.

Leggendo un po’ la storia dei consorzi d’Italia, mi ha colpito scoprire come queste organizzazioni siano intrise di storia e quanto siano state importanti per lo sviluppo del nostro Paese. A questi temi è stato dedicato l’Expo del 2015 proprio nel nostro Bel paese, a riconferma della centralità del tema della sostenibilità proprio a partire dalla produzione agricola e alimentare. “Nutrire il paese, energie per la vita”, questo lo slogan dell’evento di risonanza mondiale che ha scelto proprio l’Italia, la Lombardia, come luogo eletto.

In un luogo la memoria è tutto. La memoria ci permette di sentirci parte di una comunità e di guardare al futuro con consapevolezza e visione, ma evidentemente c’è chi preferisce l’omologazione, in cui solo apparentemente ci sentiamo a casa, salvo poi riscoprire senso di vuoto e desolazione. Accettare la globalizzazione e il “libero mercato” non significa soggiacere in maniera così bieca ai suoi ricatti. Si può ancora resistere e mitigare l’impatto che questi modelli producono sulle nostre vite, trovare una mediazione che ci permetta di beneficiare degli aspetti positivi, che pure esistono.

Mi chiedo solo se siamo veramente pronti a sacrificare il nostro sistema ricco si tradizioni, storia e natura, se siamo pronti ad accettare che queste fabbriche di omologazione possano sostituirsi alle piazze, alle strade. Mi chiedo quanto è trascurabile il fatto che i nostri ragazzi non conoscano il loro territorio, il fiume, la cattedrale, ma hanno ben in mente le coordinate dei fast-food e dei centri commerciali.

E’ compito delle amministrazioni interpretare l’organismo città, valorizzarne l’intrinseca natura e intervenire guidandone consapevolmente la trasformazione.

Sono convinta che la Cultura, nella sua accezione più ampia, è la vera forza che orienta il cambiamento, vera forza rigeneratrice. Il futuro della città dipende dal modo di pensare e di vivere de propri abitanti, dalle loro aspirazioni, dal lavoro, dallo stile di vita che conducono, dalle priorità che guidano le loro scelte. Una città che investe nella cultura non può che fare naturali scelte di sostenibilità ed ecologia.

In questo particolare momento storico, in cui al mondo intero è richiesto una inversione di rotta, un cambio di paradigma di sviluppo, proprio in termini di sostenibilità, valorizzare un ex consorzio agrario, salvaguardandone veramente l’identità, sia con scelte estetiche che funzionali, poteva rappresentare un gesto potente, una vera occasione.

Per un progetto di tale portata avrei immaginato il coinvolgimento di vari attori del nostro territorio, come scuole, università, associazioni e cittadini, che potessero, insieme all’amministrazione comunale, ragionale ad un progetto virtuoso di vera rigenerazione urbana. Avrei immaginato workshop, concorsi di idee, laboratori urbani. Che fine hanno fatto i temi di partecipazione e i processi decisionali inclusivi? La variante presentata dal proponente il progetto disattende in maniera sostanziale quanto previsto dal Piano di Governo del Territorio (PGT). Ricordo che in questi casi la procedura autorizzativa prevede l’attivazione di processi di inclusione e partecipazione della cittadinanza tramite la convocazione di pubbliche assemblee. Non so in che maniera l’amministrazione abbia coinvolto la cittadinanza e se lo abbia fatto, non mi risultano evidenze in merito. Mi riservo di approfondire ulteriormente.

Questo è un altro nodo fondamentale, considerata l’importanza che riveste il ruolo della comunità nei processi di pianificazione urbana. Partecipare vuol dire esserci, recuperare il senso di sé, degli altri e di ciò che ci circonda, in altre parole, vuol dire riappropriarci del diritto naturale di essere parte integrante dell’ambiente in cui viviamo. E’ per questo che oggi scrivo, per rivolgermi all’amministrazione e ai miei concittadini. Se ci escludiamo, se escludiamo dal progetto di futuro la voce dei soggetti coinvolti, siano umani, vegetali o animali, se trascuriamo le funzioni di relazioni tra essi e l’ambiente in cui vivono, non vi sarà ecologia, non vi sarà armonia, né bellezza, che altro non sono che l’equilibrio naturale tra gli elementi della natura.

Sono preoccupata per i miei figli, per i miei studenti, per quei giovani per i quali stiamo costruendo delle città che invece di offrire opportunità, generano bisogni.

I nostri ragazzi sono immersi in una cultura dell’assuefazione che li rende spesso ciechi e disinteressati alla cultura, alla natura, alla scoperta del mondo. Non è una generazione di apatici, no. La colpa è nostra. Non ci siamo opposti e non ci stiamo opponendo in alcun modo alla cultura consumistica, non stiamo fornendo loro alternative adeguate.

Questa è responsabilità, questo dovrebbe avere a che fare con l’amministrare una città, prendersi in carico questo fardello e cercare con umiltà una strada.

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