Medici e infermieri di Lodi vanno in Umbria per la nuova “zona rossa”

Superata la prima emergenza ora aiutano chi vive adesso quel dramma

Da zona rossa a zona rossa. A un anno esatto di distanza dall’esplosione della pandemia a Lodi, medici e infermieri dell’emergenza urgenza, con le stesse emozioni cucite addosso, sono partiti per l’Umbria.

Nel cuore dell’attuale zona rossa. Proprio come la bassa del 21 febbraio 2020, a Codogno. Quando Regione Lombardia ha deciso di inviare una delegazione in soccorso, nella delegazione non potevano non esserci anche gli operatori di Lodi. Così, l’Asst di Lodi ha inviato in comando per un mese, nell’ospedale Covid di Spoleto, dal 21 febbraio, i due infermieri del pronto soccorso e della rianimazione di Codogno Davide Giustivi e Simona Ravera e i due medici del 118 Francesca Reali e Gianluca Berti. I due medici si daranno il cambio. Fino al 5 marzo l’1 e dal 5 marzo l’altro. «Aiutare i colleghi in difficoltà è necessario. Ogni persona dovrebbe farlo - commenta Giustivi -. Io sono stato assegnato in sub intensiva dove ci sono i malati in ventilazione non invasiva, con il casco e l’ossigeno ad alti flussi, 18 letti. Sono entusiasta». In Umbria erano abituati a numeri minori e questa ondata li ha scossi. «Con tutto l’aiuto che abbiamo ricevuto noi a Lodi - spiega il medico Reali, assegnata al 118 -, l’esercito, Medici senza frontiere, almeno ora possiamo restituire in parte l’aiuto ricevuto. Questa è la loro prima ondata. Noi ci siamo fatti un’esperienza che loro non si sono ancora fatta.

«L’emozione è molto forte - ammette -, è esattamente un anno fa. Partire proprio il 21 febbraio per questa nuova missione fa un certo effetto. Un anno fa avevo iniziato l’isolamento dalla mia famiglia, stare lontano adesso mi ricorda tanto quel periodo. È un’esperienza molto forte, si cerca di dare il più possibile». Ravera è infermiera in terapia intensiva, nel Lodigiano, da quando la rianimazione era a Casale, «Il mio coordinatore Mauro Milesi - spiega - sapendo che sono umbra ha pensato a me. Mio marito e mia figlia di 17 anni non hanno posto alcun ostacolo e anche i miei colleghi che adesso devono fare i miei turni, a Codogno. È importante questo. Mi hanno collocata in terapia intensiva 2, con 10 letti. Per loro qua in zona rossa è essenziale avere al fianco qualcuno che ha già vissuto quell’esperienza. Sono molto provati. Hanno visto morire tanti giovani, anche gli amici. Noi ci mettiamo a disposizione».

Il dottor Berti, quando c’è da aiutare per una maxi emergenza, non si tira mai indietro e ha sentito forte, anche in questo caso, il dovere interiore di partire. La moglie che è infermiera dell’emergenza urgenza, ha capito benissimo . «La cosa che mi ha colpito di più durante la pandemia sono state le persone, anche giovani che trovavo a casa, in arresto cardiaco, una, due ogni giorni, fino a poco tempo fa - dice -. Ho capito cosa ho rischiato io, quando mi sono ammalato, chiuso dentro il mio camper e con la porta chiusa a chiave per non far entrare il mio bambino. La paura anche adesso c’è. Spero che il vaccino serva anche contro quelle varianti. Di sicuro sento forte il desiderio di andare ad aiutare chi ha bisogno di noi».

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