Maschietti, femminucce e oltre...

Quello dei generi è un problema che da sempre interessa filosofi e studiosi. Ne parla Platone nel Simposio dove, tra una bevuta e l’altra, (ad onor del vero con vino rigorosamente annacquato) racconta di tre generi: maschile, femminile e «androgino». Un genere, quest’ultimo, che ha dato non pochi grattacapi agli dei. I latini non sono da meno, anche se l’attenzione è rivolta al settore linguistico. Per loro in grammatica ci sono tre generi: maschile, femminile e “neutro”. E anche in questo caso il genere «neutro» ha creato qualche problema soprattutto per le concordanze. Ma veniamo ai giorni nostri. Un discutibile esperimento didattico sta prendendo sempre più forma nella civilissima Svezia, tradizionalmente attenta alle minoranze e ai diritti dei diversi. L’attenzione degli addetti ai lavori è molto alta, non solo per un esperimento chiacchierato e pedagogicamente opinabile, ma anche per le tante reazioni che sta provocando. Da noi la notizia ha trovato scarso interesse (pochissimi i giornali che ne hanno parlato), eppure siamo di fronte a una sorta di rivoluzione di identità che, col passar del tempo, potrebbe rivedere convincimenti tradizionalmente consolidati. A «Egalia», una scuola materna nei sobborghi di Stoccolma, non ci sono «generi» così come madre natura ha dato agli uomini. Non esiste il concetto di maschietto, come pure inesistente è quello di femminuccia. Ai piccoli si insegna che non ci sono distinzioni tra maschi e femmine, semplicemente perché tutti sono «neutri», tutti sono tra loro «amici». Anche le fiabe non sono le stesse, tant’è che alcune sono state rivedute e corrette. Viene mandata in pensione Biancaneve poiché troppo sdolcinata; azzerato il Principe Azzurro, uno stereotipo di classe in netto contrasto con le nuove tendenze sociali. Il loro posto è preso da due «giraffi» che per superare l’evidente difficoltà di procreazione, decidono di adottare un cucciolo, ripiegando, però, su un uovo di coccodrillo (sic!). Obiettivo del progetto? Per la direttrice della scuola è quello di liberare i bimbi dalle «discriminazioni di genere» e questo perché «le differenze di genere sono alla base dell’ineguaglianza». Ora il concetto si può condividere o non condividere, ma lo ritengo meritevole di qualche chiarimento. La scuola ha l’obbligo di educare gli alunni, sin da piccoli, all’eguaglianza, alla promozione dei diritti civili, al rispetto del diverso, tanto per citarne alcuni, ma tra questi obiettivi socio-educativi e quelli affidati a un generico concetto del siamo tutti «neutri», senza più insegnare a distinguere le differenze tra maschietti e femminucce, mi sembra che si sia andati oltre ogni limite. Eppure in questa scuola materna a numero chiuso, che vanta l’accesso limitato a pochi fortunati, non si fa altro che eliminare ogni dimensione o elemento che possa portare a generare differenze o semplicemente a distinguere una bambino da una bambina. Via ogni segno di distinzione di genere. Niente più il colore azzurro per i maschietti e, ovviamente, niente più color rosa per le femminucce. Al bando le tradizionali favole ritenute fuori tempo che danno una visione oramai superata della figura femminile gentile e asservita, contrapposta a quella rude e vigorosa che la tradizione culturale ha da sempre affidato alla figura maschile. Biancaneve e Cenerentola non rispondono più alle odierne icone sociali dettate da una visione diversa che oggi ha, della donna, la tradizione popolare. Del resto i fratelli Grimm le hanno scritte in pieno romanticismo, quando la massima espressione sociale si traduceva in esaltazione dei sentimenti oggi palesemente edulcorati. A «Egalia» maschietti e femminucce sono liberi di giocare con i mattoncini della Lego o con le pentole da cucina, ma anche con le bambole rigorosamente asessuate. Tutti possono giocare con tutto perché a «Egalia deve essere data a tutti la meravigliosa opportunità di essere quello che vogliono» dichiara un’entusiasta insegnante. Naturalmente non tutti vedono in questo esperimento la tanto osannata evoluzione psico-pedagogica del XXI° secolo. Per molti opinionisti, svedesi e non, in quella scuola materna si sta andando oltre ogni limite consentito fino a spingersi in una «follia di genere». Non consentire ai maschietti di imbracciare la «spada di Zorro» e di affrontare un ipotetico avversario tra un urlo strozzato e una rude mimica facciale, o vietare alle femminucce di pettinare le bambole, truccarle e renderle carine, potrebbe portare a qualche confusione culturale. E’ pur vero che bisogna superare lo stereotipo immanente che vede il maschio esibito nel suo classico modello estetico, palestrato e lampadato, decisionista quanto basta, esclusivo depositario di processi creativi, mentre la femmina viene presentata spesso come soggetto reso attraente da una collaudata convenzione mediatica che la vuole valletta e ballerina, ammiccante imbonitrice dei più diversi prodotti di consumo che vanno dalle auto ai materassi, dai profumi alle lamette da barba. Per superare questa cultura ossessiva non c’è bisogno di «Egalia». Ciò che deve impegnare tutti, docenti e genitori, è l’atto educativo mediante il quale l’educando si ritrovi in una razionale dimensione, pronto ad affrontare un domani quando sarà uomo o donna culturalmente e socialmente preparato anche al rispetto delle diversità. Non è creando un genere neutro che si riesce a creare una nuova cultura per una rinnovata generazione di persone disposta a guardare con un occhio diverso al futuro. Personalmente, nel caso in questione, non vedo la necessità di sperimentare generi aggiunti per liberare i soggetti dai condizionamenti, dalle ineguaglianze e dalle discriminazioni. E’ difficile accettare l’idea di sperimentare se stessi quando in gioco ci sono i valori del proprio essere, della propria identità. Perché questa spasmodica ricerca di mettere forzatamente in discussione se stessi? Anche questo è un discrimine. Caro Leopardi anch’io come te, leggendo il «Canto notturno di un pastore errante dell’Asia» mi domando: «Ed io che sono?». Mi arrovello un po’, ma poi mi tranquillizzo: ho frequentato un asilo tradizionale.

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