Ma che razza di idee sono queste

“Scuola per il domani”, “Presidi elettivi” e “Test psicoattitudinali” per i presidi sono gli ultimi slogan che accompagnano l’invocazione di una sorta di rivoluzione copernicana del nostro sistema scolastico. Il primo slogan è riportato, con enfasi, dal Corriere del Veneto che sottolinea come per la prima volta una scuola elementare di Verona, sia pure privata, sperimenta un nuovo modo di assunzione del personale docente. Il caso resta interessante per le modalità messe in atto che non si limitano alla semplice chiamata diretta mediante colloquio davanti a una commissione interna presieduta dal preside, ma si distingue e si pone all’attenzione degli addetti ai lavori per un iter che viene messo in pratica prima di arrivare all’assunzione. Via condizionamenti da graduatorie, da punteggi e, cosa ancor più singolare, via al superamento del titolo di studio conseguito dall’aspirante docente. Il criterio a cui ci si attiene in questa scuola elementare è affidato a un sistema selettivo articolato in alcune fasi prima di arrivare a sciogliere ogni riserva. Si passa dal tradizionale colloquio iniziale per proseguire con una lezione sul campo, quindi si continua con l’analisi delle ricadute didattiche e pedagogiche sugli scolari, per finire con l’osservazione del comportamento dei bambini in classe durante le lezioni. E’ come dire che la cattedra viene assegnata a chi riesce a trasmettere, con maggior competenza professionale, approccio pedagogico e passione non solo i contenuti, ma anche la motivazione e l’amore per il sapere. Il tutto con l’aiuto di un team di pedagogisti.

In fin dei conti a scegliere la maestra non è direttamente il capo d’istituto, ma i genitori dopo l’esito dell’esperienza maturata dai bambini in classe. Uno scompiglio per alcuni, un modo concreto di mettere a confronto, in modo concorrenziale, la scuola pubblica e la scuola privata per altri. Da una parte la scuola pubblica che assume, ricorrendo alle graduatorie fatte di punteggi e posizioni giuridiche, dall’altra una scuola alla ricerca di maestri che trovino nell’entusiasmo per la propria professione, la capacità di trasmettere con passione i contenuti e le emozioni, condizioni ritenute indispensabili per una presenza disciplinare ed educativa di alto livello. La mancanza di passione, secondo questa prassi, può portare a una certa indifferenza nei confronti dell’agire. Insomma a chi tocca, tocca nel primo caso; a chi tocca per capacità propedeutica nel secondo caso. Due principi distanti tra loro, ma che si rivelano determinanti ai fini della scelta della scuola da parte delle famiglie. Stessa musica in campo direttivo. Sono giorni intensi in cui il duro confronto politico si sposta, talvolta, su un piano scolastico che di politico ha ben poco.

La scuola non può e non dovrebbe essere mescolata alle tensioni sociali in atto. Eppure si fanno avanti posizioni rivoluzionarie anche per i presidi. Emergono due scuole di pensiero pubblicate in questi giorni su riviste specializzate on-line. Da una parte c’è chi suggerisce di puntare al reclutamento dei presidi mediante il sistema elettivo, dall’altra si suggerisce l’assunzione dei presidi previo test psicoattitudinali (è aperta la caccia ai presidi svitati). L’una e l’altra proposta superano l’attuale modalità di reclutamento per posizionarsi su un piano completamente innovativo, talmente spinto da annullare l’attuale formula concorsuale. Con il sistema elettivo è lasciato al Collegio Docenti la scelta della figura rappresentativa gestionale della scuola. Un sistema che, stando alle osservazioni sottolineate, avrebbe il vantaggio di portare il personale della scuola a una maggior collaborazione, sentita come una particolare responsabilità e resa concreta dalla condivisione delle scelte.

Diverso il discorso sul sistema di reclutamento mediante «Test psicoattitudinali». Un’idea giustificata dalla necessità di non lasciare la gestione e la rappresentatività della scuola in mano a chi, sia pur vincitore di concorso, si dimostra inadatto a ricoprire un ruolo di responsabilità poiché sopraffatto da una sorta di egocentrismo professionale fino a creare situazioni di conflitto tra ruoli con conseguente negative ricadute relazionali. Emergerebbe così non solo l’immagine di un preside ritenuto incapace di tessere relazioni di semplice o complesso livello, ma anche l’icona di un preside portato facilmente a compromettersi eticamente e professionalmente. Siamo dunque di fronte a una sete di cambiamento che va alla ricerca del nuovo anche nella scuola. Emergono nuove posizioni culturali che possono apparire rivoluzionarie se messe a confronto con gli attuali meccanismi standard che regolano e disciplinano i sistemi di reclutamento. «Ma che idee ti sei messo in testa» direbbe John Locke. Sicuramente sono posizioni estreme, ma che se riposizionate in un ambito più equilibrato, forse non tutto va buttato via. Che si parli di docenti o di presidi un fil rouge ci aiuta a capire lo spessore innovativo. In entrambi i casi emerge che non ci si dovrebbe più affidare alla sola ragione, ma anche al cuore. Nell’insegnamento non il solo titolo viene ricercato, ma la passione di trasmettere valori e saperi; nella direzione di una scuola non il solo superamento del concorso è una garanzia di legale rappresentatività, ma la capacità di relazionarsi, di dare prova della propria presenza nella comunicazione come entità di crescita. In sostanza di dar prova di possedere l’etica della responsabilità. Come sottolinea Blaise Pascal occorre dar prova di sé non soltanto con lo «spirito di geometria» (esprit géométrique) ma anche con lo «spirito di finezza» (esprit de finesse). E’ un chiaro invito a comprendere le persone non trincerandosi dietro ferree posizioni, egoismi, falsità e ipocrisie, ma esponendosi con rispetto aggrappandosi, se mai, a una sorta di intelligenza emotiva. Quell’intelligenza che non pochi filosofi trovano, ad esempio, negli animali. A tal proposito sempre Pascal amava dire spesso «Più conosco gli uomini, più apprezzo il mio cane». Tranquilli. Cani e filosofi sono sempre andati a braccetto. Platone sosteneva di vedere negli occhi del cane l’anima del filosofo. La scuola cinica, invece, aveva un «preside pazzo», tale Diogene (quello che viveva nella zozzeria) che non perdeva occasione per ripetere ai suoi allievi: «Mi dico cane perché faccio le feste a chi mi dà qualcosa, abbaio contro chi non mi dà niente e mordo i ribaldi». Che preside!

© RIPRODUZIONE RISERVATA