Lodigiano, dove sono le potenzialità

Qual è la salute del sistema delle imprese lodigiane? Un fatto evidente è rappresentato dal progressivo restringimento del numero delle attività iscritte alla Camera di Commercio e di quelle effettivamente operanti: in sintesi, gli anni della crisi (intendendo gli ultimi quattro) si sono la crescita delle attività autonome che nel Lodigiano ha caratterizzato la prima parte degli anni Novanta. Se ci facciamo aiutare dai dati camerali più recenti , nel solo terzo trimestre del 2012 il territorio ha perso 107 attività, che salgono a 379 se consideriamo il saldo su base annuale (settembre 2011 – settembre 2012). Questo per quanto riguarda le imprese che non ci sono più. Per quanto riguarda le imprese che ci sono ancora, gli aspetti problematici ne coinvolgono una larga maggioranza, seppure con diversa intensità, e si concentrano nella riduzione degli ordinativi e del giro d’affari; nella grave carenza di liquidità, dovuta sia all’allungamento dei tempi dei pagamenti che all’aumento della pressione fiscale, che nel 2012 ha soprattutto un nome, quello dell’IMU; nell’inevitabile ridimensionamento dell’organizzazione aziendale, a cominciare dalla forza lavoro. Osserviamo, per altro verso, che gli effetti della crisi sul nostro territorio appaiono più severi e dolorosi rispetto ad altri territori lombardi, per il contemporaneo convergere di due fenomeni: accanto a quello legato alla crisi globale, e in un certo senso prima di questo, abbiamo dovuto constatare l’esaurimento repentino di uno sviluppo locale fondato soprattutto su una forma “spinta” di terziarizzazione, che per almeno tre lustri ha potuto contare sulla proliferazione della Grande distribuzione commerciale, dei centri logistici, dei sistemi bancari (a cominciare dalla ex Banca popolare) e del decentramento amministrativo e che pare aver ormai esaurito la sua forza espansiva, entrando anzi in una fase recessiva.

LE MISURE ADOTTATE: UTILI MA INSUFFICIENTI

In questo quadro, come sta reagendo il sistema delle responsabilità pubbliche, rappresentato principalmente da Provincia, Comuni, Camera di Commercio, Organizzazioni di categoria e Organizzazioni sindacali? Non sono mancati provvedimenti di breve e medio periodo anche se, rispetto alla dimensione dei problemi, risultano inevitabilmente inadeguati, benché non inutili. Anche nell’ultimo anno queste iniziative sono state numerose, nonostante il venir meno di una quota consistente di risorse pubbliche e hanno riguardato l’impegno inedito per la promozione delle aree dismesse (con la partecipazione, per il secondo anno consecutivo, alla fiera internazionale Eire), il maggior sostegno all’internazionalizzazione delle imprese lodigiane (grazie soprattutto alla cooperazione tra CCIAA, Consorzio Lodi Export e Associazioni), la maggior attenzione negli appalti pubblici all’impiego di risorse a vantaggio delle imprese locali (anche se si tratta di una prassi ancora largamente migliorabile), l’applicazione di risorse di Camera e Provincia per sostenere tirocinii e stabilizzazioni di impieghi precari, a vantaggio soprattutto dei giovani (Bando occupazione), l’addensamento della rete tra banche, confidi e associazioni per agevolare l’accesso al credito (che tuttavia continua a soffrire di crescente restringimento).

AL DI LA’ DEI PROBLEMI, LE OPPORTUNITA’

A parte la “manutenzione” della crisi, se così si può dire, guardando oltre i problemi odierni e partendo da alcune concrete opportunità mostrate dal nostro territorio, quali scelte “di respiro” possiamo cercare di condividere e di cominciare a radicare fin d’ora dentro il terreno duro dell’attuale situazione economica, perché producano nel tempo frutti ricchi e duraturi?

Una prima opportunità è costituita da un sistema locale di offerta scolastica che negli ultimi due decenni, integrata dalla nuova presenza universitaria, destinata ad affiancare alla Facoltà di Veterinaria anche quella di Agraria, è senza alcun dubbio cresciuta in ampiezza e qualità. Soprattutto le Scuole superiori si sono aperte senza precedenti e in forme non episodiche al mondo del lavoro e delle imprese. Si tratta di un fatto positivo, perché la qualità delle persone e l’adeguatezza delle loro conoscenze rappresenta un fattore di competitività sempre più determinante per la crescita economica, culturale e sociale di un territorio. Ne deriva l’impegno a proseguire con sempre maggiore determinazione ed efficacia sul percorso di questa indispensabile integrazione tra scuola e lavoro: resta da compiere ancora molto lavoro, ma non siamo all’anno zero.

Una seconda opportunità è legata ai margini esistenti per un maggiore dispiegamento del fenomeno della imprenditorialità. Il nostro territorio, per ragioni legate alle caratteristiche storiche del suo sviluppo, è tradizionalmente centrato sul lavoro dipendente. L’emergere di nuovi e sempre più sofisticati bisogni delle persone e delle famiglie (qualità dell’abitare e dell’alimentarsi, sicurezza e decoro della persona, esigenze di contenimento energetico e molto altro) è ancora in parte in attesa di offerte professionalità appropriate. L’artigianato in particolare, ma non solo, mostra in tal senso significative potenzialità di sviluppo in direzioni inedite, che chiederanno al piccolo imprenditore di saper fare sintesi sempre più avanzate tra abilità manuali e modernità delle conoscenze. Ci sono spazi di mercato abitati da domande che non trovano ancora risposte, che esigono l’attivazione di nuove idee, energie, iniziative. Su un punto dovremmo intenderci senza equivoci: che il lavoro che ancora manca, prima che preteso e cercato, va anzitutto “creato”. Serve però sdoganare culturalmente il valore dell’attività autonoma, soprattutto di quella legata alla produzione materiale, che è scivolata in posizioni marginali e di ripiego e che invece può rappresentare una forma gratificante di autorealizzazione personale, purché questo “fare nuova impresa” trovi nel territorio un ecosistema favorevole. Responsabilità sociale dell’impresa sì, ma anche responsabilità sociale “verso” l’impresa.

Una terza opportunità è suggerita dall’incremento di circa 20.000 residenti nel Lodigiano nell’ultimo decennio: un trend demografico alimentato non solo dai flussi immigratori, ma soprattutto dalla decisione di molte persone e famiglie non di venire a “dormire” nella nostra terra, ma di identificarla come luogo adatto per abitarci e viverci, soprattutto perché pregevole sotto il profilo ambientale, infrastrutturale e dei servizi, oltre che sostenibile quanto a costo della vita. Una spinta verso un ulteriore incremento di questo trend, oltre a valorizzare il patrimonio abitativo di circa 12.000 case sfitte (molte delle quali mai abitate), porterebbe nuovo reddito al territorio e nuova domanda di beni e di servizi, in grado di gratificare e sostenere il mercato interno. Per anni abbiamo invocato e atteso nuove imprese e invece sono arrivate nuove persone, provenienti sopratutto dall’area metropolitana: una buona notizia, che dobbiamo “leggere” con intelligenza e lungimiranza, perché questo fenomeno di mobilità demografica è ancora attivo ed è carico di interessanti potenzialità sociali ed economiche per il nostro territorio.

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