Lodi, nel negozio spunta il doping

«Ma era solo una mia scorta per uso personale»: si difende così G.S., il commerciante appassionato di culturismo di 36 anni che i poliziotti del commissariato di Crema hanno denunciato mercoledì a piede libero per l’ipotesi di “detenzione di sostanze dopanti a fini della vendita”: raccogliendo voci nell’ambiente delle palestre a Crema gli agenti comandati dal vicequestore Daniel Segre sono arrivati fino a un negozio di Lodi che vende principalmente integratori alimentari per sportivi e il titolare, senza attendere che scattasse la perquisizione, ha svelato una nicchia ricavata in un muro nella quale si trovavano diverse confezioni di farmaci i cui principi attivi sono elencati nelle tabelle della legge 376 del 2000 contro il doping. Steroidi, testosterone, gonadotropina, elencano gli inquirenti, e poi ancora un ridotto quantitativo di nandrolone, una sostanza che dall’11 giugno del 2010 è stata inserita nella tabella degli stupefacenti. Su questo fronte sono al lavoro i carabinieri del Nas di Cremona, cui il commissariato ha chiesto un supporto scientifico, e c’è la possibilità che, sulla base del contenuto dei preparati in principio attivo, scatti anche un’ulteriore denuncia per detenzione a fini di spaccio.

Se l’ipotesi rimarrà quella del doping, invece, la legge prevede pene da tre mesi a tre anni di carcere.

Il commerciante, che è nato a Vizzolo Predabissi ma abita da tempo in un paese tra Sant’Angelo e Pavia e convive con una 38enne che è anche socia in una delle sue attività e ha due figli piccoli, risulta incensurato, e il commercio di integratori gli ha permesso di aprire negozi anche a Crema, Milano e nel Pavese. Un piccolo network frequentato, inevitabilmente, da appassionati di sport che cercano integratori per potenziare il risultato degli allenamenti, ma anche da donne che cercano cibi dietetici. È il “cibo che cura” una delle nuove frontiere del marketing, e il successo di negozi come questo lo confermano.

Ma nella nicchia, nascosta dietro un pannello avvitato al muro, i poliziotti hanno trovato cento fiale e 400 pastiglie di medicinali che, per legge, devono venir prescritti da un medico e servono per curare chi è malato davvero.

«È stato sequestrato un quantitativo addirittura inferiore a quello necessario per una preparazione atletica», sottolinea l’avvocato Mauro Salvalaglio che ha assistito il 36enne durante il primo interrogatorio della polizia. «Si stava preparando per un appuntamento sportivo in primavera - aggiunge l’avvocato Alessandro Zanelotti -: non è un quantitativo destinabile alla vendita, è troppo poco».

Nessuno dei clienti del negozio è stato indagato: il doping è reato solo se usato per fare sport, amatoriale o agonistico, e questo non è stato provato. Se vi siano prove effettive della cessione, o solo sospetti, questo per ora non trapela. Ma gli inquirenti appaiono convinti che anche molti “palestrati” lodigiani passassero per questo negozio, da chiarire se fossero a conoscenza o meno della presenza di farmaci dopanti. Si indaga anche sulla provenienza dei medicinali: gli investigatori ritengono che fossero stati acquistati via Internet, all’estero.

«Se io per raggiungere certi risultati prendo dei farmaci, è una questione solo mia - vuole chiarire personalmente il commerciante -; non tenevo questi medicinali in casa perché in famiglia sono assolutamente contrari. Erano custoditi in negozio per me, non perché li volessi vendere. La mia opinione è che quelli che si dopano per fare sport, senza alcun criterio, sono dei kamikaze».

L’uomo ritiene impossibile che nelle palestre si parlasse di lui come venditore di sostanze proibite: «Guarda caso a Crema c’è una persona che potrebbe essere arrabbiata con me e che magari ha voluto vendicarsi dicendo certe cosa alla polizia».

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