Lodi e Bergamo, ceppi diversi di covid

Uno studio degli specialisti del San Matteo di Pavia e di Milano Niguarda

Il virus che è circolato nel Lodigiano e a Cremona, diverso da quello di Bergamo. Il Policlinico San Matteo e l’ospedale di Milano Niguarda, nei giorni scorsi, hanno presentato l’esito di uno studio che parla di due ceppi diversi del Covid 19 in Lombardia. Anche altri ricercatori nella capitale stanno lavorando sugli stessi temi. Secondo gli specialisti ci sarebbero state oltre 200 mutazioni genetiche che avrebbero dato luogo a 4 ceppi diversi, uno italiano, uno cinese, uno tedesco e uno misto.

Quello che il mondo clinico si aspetta, anche in vista di ulteriori ondate, è capire magari analizzando i tamponi, se il virus che ha portato i pazienti al decesso fosse lo stesso che ha causato solo la perdita dell’olfatto e del gusto in altri casi.

I risultati del San Matteo di Pavia e di Milano Niguarda sono stati presentati in un convegno svoltosi all’università di Pavia ed organizzato dall’associazione culturale “Nova Ticinum” presieduta dal professor Mario Viganò.

«Grazie a uno studio che abbiamo condotto con il Niguarda di Milano - ha spiegato all’Ansa il professor Fausto Baldanti, direttore della virologia del San Matteo - abbiamo scoperto che ci sono stati due diversi ceppi del virus in Lombardia. Quello circolato nella zona di Bergamo è diverso dal coronavirus che si è diffuso nelle province di Cremona e Lodi. Due virus differenti tra di loro, per sequenza genetica e caratteristiche, che hanno provocato due diversi focolai. Il Covid-19, secondo i nostri studi (in attesa di pubblicazione, ndr) circolava nella zona rossa di Codogno già dalla metà di gennaio: dagli esami effettuati, abbiamo scoperto anticorpi che risalivano a quell’epoca. L’immunità di gregge comunque è ancora lontana dall’essere raggiunta. Sempre dai controlli effettuati è emerso che nella zona rossa di Codogno solo il 23 per cento della popolazione ha incontrato il virus. Da questo dato capiamo quanto sia importante rispettare le regole di prevenzione, dalla mascherina al distanziamento sociale». Il professore Cesare Perotti, primario del centro trasfusionale di Pavia, ha tracciato un bilancio della plasmaterapia avviata al San Matteo e che riguarda anche il trasfusionale di Lodi e Vizzolo guidati da Giuseppe Cambiè e Giuseppe Pugliese. Secondo lo studio del San Matteo, il ricorso al plasma iperimmune ha ridotto la mortalità dal 15 al 6 per cento. Nei giorni scorsi, a Vizzolo, è stato trattato con il plasma un malato che a causa della polmonite che non passava non poteva continuare a fare la terapia per il linfoma. Grazie al plasma, la polmonite è passata e il 60enne è tornato a fare la sua terapia.

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