Lodi, assolto per aggressione in strada

Era accusato di aver preso per il collo un pensionato che protestava per una manovra pericolosa in centro città, ma un automobilista 60enne di Lodi, A.G., è stato assolto dal tribunale di Lodi, dove era stato mandato a giudizio con l’accusa di lesioni: per il giudice Stefania Letizia infatti è mancata la prova della colpevolezza dell'imputato. Una decisione a fronte della quale non è escluso il ricorso in appello, dato che il pensionato che ha denunciato di essere stato aggredito con una violenza inspiegabile alla fine di settembre del 2006 si era anche costituito parte civile, per chiedere i danni di lesioni e contusioni per una prognosi totale di 45 giorni.

Era un martedì mattina quando E.U., queste le iniziali della vittima, anche lui 60 anni, stava attraversando sulle strisce pedonali tra via Paolo Gorini e via Carducci: teneva per mano il nipotino, per accompagnarlo alla scuola materna, quando una Fiat Uno bianca era arrivata da piazza Zaninelli a velocità sostenuta. Al momento di svoltare verso via Carducci l’automobilista si era trovato di fronte i due pedoni e, con una brusca frenata, era riuscito a limitare i danni, toccando solo il pensionato a un ginocchio. Inevitabili, a quel punto, le proteste del pedone. Alle quali però, in base al verbale della polizia locale, ma anche a numerose testimonianze, sarebbe seguita una scena incredibile: l'automobilista, aperta la portiera, avrebbe messo addirittura le mani al collo al pensionato, spingendolo contro il muro. Sotto gli occhi atterriti del nipotino. Quindi, come se niente fosse, sarebbe ripartito.

Qualcuno aveva annotato il numero di targa, con alcuni errori, però. Dopo non molti giorni comunque la polizia locale era riuscita a identificare l’automobilista nel lodigiano A.G., che però non si è mai presentato al processo. «L’identificazione non è certa», ha sottolineato il suo avvocato difensore Ingrid Maria Baroni. «C’è agli atti un regolare verbale», ha sottolineato invece il pm Silvana Gargiullo, che ha chiesto una condanna a 6 mesi di carcere, «senza concedere le attenuanti generiche vista la gravità del fatto».

Il processo si è concluso in primo grado a oltre 5 anni dall’episodio perché, causa maternità, ha dovuto essere due volte assegnato a un diverso giudice.

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