LOCKDOWN «Colpiti in modo durissimo»

Nel Lodigiano c’è rabbia e delusione fra gli imprenditori, gli artigiani e i negozianti

Il nuovo Dpcm mette in ginocchio ristorazione, somministrazione, attività sportive e culturali. Cresce rabbia e delusione tra gli imprenditori, che si sentono ingiustamente colpiti. Il primo giro di commenti da parte delle associazioni di categoria è tutto unanime e senza appello: «Colpiti in maniera scriteriata settori che sono stati tra i più attivi nell’adeguarsi alle norme anti-covid, e che difficilmente potranno sopportare questo nuovo giro di vite».

Un giro di vite che si preannuncia lungo, un mese, con validità delle misure fino al 24 novembre, e che arriva proprio in un momento di tentata ripresa e di grande lavoro di tutte queste categorie, in particolare per ristoranti, palestre, cinema e teatri, che tradizionalmente in autunno riprendevano alla grande dopo il periodo estivo meno intenso.

«La salute è il bene primario, nessuno lo discute, ma il decreto colpisce durissimo centinaia di imprese di settori che stavano faticosamente cercando di rialzarsi - spiega Isacco Galuzzi, segretario di Confcommercio Lodi e Basso Lodigiano -. Ora ci aspettiamo che ci siano subito interventi decisi, congrui a sostenere il sistema delle imprese, e soprattutto tempestivi, perché quanto abbiamo visto in primavera ha lasciato enormi difficoltà. La stragrande maggioranza delle imprese aveva messo in atto tutte le condizioni per poter lavorare in sicurezza, e questo suscita rabbia e qualche tensione. Inoltre, vedremo presto l’impatto di questo lockdown soft sui consumi, peraltro in un periodo fondamentale perché da una parte quei settori stavano finalmente iniziando a lavorare, dall’altra ci avviciniamo al periodo di Natale».

Il problema di questo secondo lockdown soft per le imprese dei servizi evidenzia le difficoltà delle risposte di sostegno da parte dello stato. «Indipendentemente dalle misure di supporto che saranno messe in campo, ormai è tempo di definire delle soluzioni di tipo strutturale che vadano incontro alle esigenze che si manifestano ciclicamente - afferma Vittorio Codeluppi, segretario Asvicom Lodi -. Il settore più in evidenza è quello della ristorazione, ma con il nuovo provvedimento si rischia di affossare l’intero comparto dell’attività fisica, palestre e piscine». Inoltre, queste imposizioni, a primavera e ora, rischiano di dare il la a un cambiamento strutturale nell’approccio al consumo. «Già si vedono i primi effetti, e temiamo saranno più accentuati ancora nel breve periodo - continua Vittorio Codeluppi -. Chi si compra gli attrezzi per fare ginnastica in casa per il timore del contagio, tornerà più in palestra? Non solo le attività sono in ginocchio, ma devono fare i conti anche con un cliente che sta modificando le sua abitudini. Con l’invito a non muoversi è facile prevedere un incremento degli acquisti online a discapito dei negozi. Il modello di commercio tradizionale cui siamo abituati da 200 anni a questa parte, quello della bottega e della locanda, sta cedendo il passo ad altre forme, e i nostri imprenditori faticano a starvi dietro, anche perché questa pandemia ha accelerato tutto, senza dare tempo e risorse per adeguarsi».

Anche perché in gran parte dei casi si tratta di imprese poco strutturate e di norma con poco patrimonio, abituate a vivere con la cassa. E se togli la cassa, togli tutto.

«Ci sono imprenditori molto arrabbiati, e ci sono tanti che sono disperati - commenta Sabrina Baronio, presidente Confartigianato Lodi e Provincia -. È una misura poco equa per diversi motivi: colpisce categorie tra le più attive nell’adeguarsi alle norme anti-Covid, luoghi dove è tutto da provare che il contagio circoli di più, anzi, basta pensare a scuole o trasporti, e infine lascia aperti, ma di fatto taglia le gambe due volte, perché toglie il momento del lavoro effettivo e al tempo stesso crea problemi organizzativi con il personale. Che senso ha per un ristorante chiudere alle 18, quando sta per iniziare a lavorare? Se almeno fosse stata una chiusura totale, almeno si sarebbe saputo come trattare il personale». A mancare è proprio lo stato. «Le imprese private hanno fatto tutto il possibile, si sono attrezzate e adeguate in senso anti-covid con l’impegno di un rimborso del 60 per cento delle spese, poi ora sappiamo che non ci sono risorse e il ristoro medio sarà dell’8 per cento, a spese già fatte - conclude Sabrina Baronio -. Ristoranti e bar, palestre e cinema, tutti nella stragrande maggioranza dei casi hanno adottato le misure previste, poi invece il settore pubblico è rimasto al palo, nella scuola e nei trasporti».

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