Lo zero virgola, in attesa della buona inflazione

Più zero virgola uno per cento: meno zero virgola uno per cento. E la politica, l’economia, il giornalismo si accapigliano per queste inezie statistiche. Ogni giorno siamo tempestati da stime, valutazioni, previsioni, consuntivi che parlano di qualche punto decimale in più o in meno sul Pil, la produzione industriale, gli ordini, gli investimenti e quant’altro. Ogni giorno insomma si danno i numeri: chi scommette ed esalta il decimale in più, chi si deprime e saetta contro il decimale in meno. Dall’aria che assumono, dalle espressioni dei volti, dall’importanza che ne danno, pare trattarsi di cose molto importanti, che noi ascoltiamo dai tiggì o leggiamo nelle prime pagine e ci chiediamo perplessi se finalmente… , o se purtroppo…È di tutta evidenza che uno zero virgola è un’inezia, non solo matematica. Quindi l’importanza che il teatrino dei decisori dà a quell’inezia, travalica il dato numerico. È come se l’Italia – e non solo – guardasse dentro quei fondi di caffè, esaminasse con attenzione spasmodica le interiora nell’animale sacrificato per capire una cosa: stiamo migliorando, risollevandoci da una crisi che ha superato l’ottavo anno consecutivo, da una prostrazione particolarmente debilitante proprio qui in Italia? O, al contrario, le medicine somministrate sono state blande – se non addirittura palliative o assenti – e quindi il grande gigante rimane malato e rischia di peggiorare?Chiaro che, su simili valutazioni, i dotti-medici-sapienti si muovono come invasati aruspici per valutare, capire, provvedere e comunque giudicare; che i politici verranno pesati, esaltati o affossati. Che noi ne trarremo chiarezza per capire se del futuro dobbiamo avere paura, o fiducia.Le conseguenze sono notevoli, soprattutto per l’ultimo aspetto. È tempo di continuare a mettere fieno in cascina, di centellinare l’euro o di nasconderlo sotto il materasso? O si può essere più tranquilli per il proprio lavoro, pianificare il cambio di abitazione, pensare che ci sia vita oltre la curva del prossimo mese?Qui sta l’esagerazione, a nostro parere. E l’errore madornale che molti commettono, in malafede. L’esagerazione, perché non abbiamo avuto un cancro, ma una broncopolmonite. Ci ha messi a letto, ma non debilitati né tantomeno distrutti. L’Italia è qualcosa di più di qualche decimale di Pil. La crisi c’è: ma non siamo precipitati nel Terzo Mondo né rischiamo di farlo a breve.L’errore in malafede è invece quello di ammucchiarsi tutti a guardare le linee di febbre nel termometro, trascurando la causa di quella febbre: fa comodo farlo. E la causa si chiama debito pubblico: quello sì spaventoso, in continua crescita, senza alcuna terapia specifica di riduzione.I dotti-medici-sapienti e i politici di corollario diranno che sono appunto quei numeri che indicano la strada per affrontare la montagna del debito. Ma anche qui la matematica pone un quesito micidiale: ma chi ragionevolmente può pensare che uno zero virgola di qualcosa possa spianare una montagna da quasi 2.250 miliardi di euro di debiti? Per portare il mostro a livelli sostenibili – ancora enormi ma non da incubo – bisognerebbe quantomeno abbassarlo di 6-700 miliardi. Trenta miliardi in meno all’anno, da oggi a vent’anni. Senza una sola pausa. Invece sta ancora crescendo.

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C’è poi il problema inflazione. Sale il prezzo del petrolio: evviva! Le Borse esultano, i titoli azionari (non solo delle aziende del settore) ne sono avvantaggiati, il prezzo alla pompa di benzina e gasolio sale, facendo felici i distributori e soprattutto lo Stato, che tassa i carburanti in ogni modo. Se il pieno si fa più caro, allora noi consumatori spenderemo di più: quindi crescerà l’inflazione, che è quasi sparita dall’orizzonte delle economie occidentali. La malattia opposta all’inflazione è la deflazione, una spirale terribile che porta a un impoverimento generale e attorno alla quale stiamo ballando da troppo tempo.Tutto bene, dunque? Le mosse strategiche di Putin, i minori barili estratti, un inverno che si preannuncia freddo, insomma un prezzo al barile che è quasi doppio rispetto a quello di pochi mesi fa… tutto ciò è cosa buona è giusta?In parte, e in teoria.In teoria, si diceva, perché un’economia – per funzionare bene – ha bisogno di un po’ di sana inflazione. Mario Draghi dalla Bce sta facendo di tutto per “scaldare” un po’ i prezzi dell’eurozona. Un’inflazione al 2% significa che non c’è stagnazione, che la ripresa è in atto, che la gente spende più di prima riattivando i circuiti economici. Ma – come per i grassi che mangiamo – c’è inflazione e inflazione. E quella creata dall’aumento del costo delle materie prime importate, è inflazione non troppo buona. Si tratta di spesa in uscita in più, di soldi che dalle nostre tasche si ri-trasferiscono ai forzieri di Paesi lontani da qui. Buon per loro, ma per noi…Soprattutto, l’inflazione per essere buona deve nascere appunto da un’economia che va. Il che significa: aziende che fatturano, posti di lavoro nuovi, stipendi che crescono, maggiore potere di acquisto. Tutto ciò che in realtà manca, e continua a mancare in Italia soprattutto, ma non solo qui.Il prodotto interno lordo, il famigerato Pil che misura la crescita economica in un Paese, da noi ha l’encefalogramma quasi piatto. Fatichiamo a creare nuovi posti di lavoro (il Jobs Act ha soprattutto stabilizzato un po’ di precarietà) e, in generale, quelli nuovi sono pagati meno di quelli che sostituiscono: una tendenza quasi generalizzata. E di rinnovi contrattuali con maggiori cifre in busta paga non se ne parla quasi ovunque.Quindi, se i soldi rimangono quelli di prima, le maggiori spese per il carburante, il riscaldamento, i prodotti derivati… sono solo maggiori spese. Per le famiglie, per le aziende italiane. Non c’è da esultare troppo per la felicità delle Borse che hanno logiche di pura speculazione, completamente sganciate dalla nostra vita. Che il caro-petrolio complica un pochino di più, e basta.

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