Lo stadio dell’Inter divide

La San Donato rimasta a casa a Ferragosto chiude in parità la gara delle opinioni sulla “rivoluzione sportiva” che potrebbe arrivare presto: la costruzione del nuovo stadio dell’Inter, supermoderno, avveniristico, nella campagna attorno a cascina San Francesco. Qualche parere in giro per le strade costellate di serrande abbassate chiude con un risultato a grandi linee di 1-1. Per una persona decisamente favorevole a scrivere un capitolo nuovo (e che capitolo) nella storia locale, ce n’è un’altra che teme l’orda di auto e il fiume delle persone da sommare ai pendolari, contando quelli del Sesto palazzo uffici Eni in arrivo. Nel frattempo in rete si trova già tutto quello che si vuole sul “Giacinto Facchetti” (pochi dubbi sull’intitolazione al mitico capitano), persino i rendering computerizzati. L’unico punto interrogativo continua a essere quello sull’identità dell’anonimo verde che i progetti del fantascientifico catino mostrano tutto attorno: è la campagna di San Donato Milanese o quella di Rho-Pero ? Le istituzioni si sono già espresse: Andrea Checchi, il sindaco, è andato sotto l’ombrellone dopo avere doverosamente contattato la società di Moratti, ma predicando prudenza e chiedendo di intavolare «un ragionamento articolato» nei tempi giusti, che potrebbero anche andare parecchio oltre l’estate. Alcune minoranze politiche (Insieme per San Donato) invece hanno già fatto le loro equazioni concludendo che c’è solo da guadagnare. Fra i residenti, di questo ultimo parere è ad esempio il signor Ugo, gestore del bar Cin Cin di via Europa: «A un’idea simile si deve rispondere assolutamente di sì - si sbilancia - cambierebbe il volto della città, porterebbe prestigio e anche nuovi servizi. Dico di sì, cediamo l’area». Il derby familiare con la moglie Silvana, anche lei dietro il bancone del caffè, mostra però già le ragioni degli scettici farsi avanti e non in modo simbolico: «Io dico di no - così la consorte - il traffico, la massa di tifosi che escono da Milano, l’ordine pubblico, sono tutte variabili che rischiano di gettarci in crisi». Anche fra i clienti del bar qualcuno scuote la testa immaginando l’asse Sesto palazzo Eni-Stadio Inter percorso dai pullman dei lavoratori e dei tifosi assieme, con le strade che ci sono ora. Fra le donne c’è anche una rappresentanza, secondo tradizione rosa, di completamente indifferenti: «Il calcio non lo guardo proprio mai - aggiunge la signora Celeste mentre compra i giornali all’edicola di fronte al bar - quindi che lo facciano o non lo facciano per me resta uguale». Il signor Giovanni, gestore dell’edicola di via Morandi, evidenzia come altri l’impatto viabilistico di un’impresa simile ma è possibilista: «Credo che un progetto simile abbia le risorse per non abbattersi sulla città senza studiare prima delle soluzioni. Se fanno le cose bene, probabilmente noi sandonatesi “stabili” neanche ci accorgeremo della partita il sabato o la domenica». E fra il partito dei pro-stadio si arruola infine Fausto, interpellato in via Libertà mentre pedala nella via silenziosa e assolata: «Sono milanista ma dico sì, è un’opportunità che va colta». Anche il sondaggio on-line della rete civica Recsando è in equilibrio: 50 a 50 fra si e no.

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