L’INTERVISTA ESCLUSIVA «Riapriamo il dialogo tra Russia e Ucraina». Guerra dell’informazione? «Oggi si usa Internet, in passato i volantini e la radio»

Padre Paolo Benanti, teologo, venerdì sarà a Lodi al convegno sul mondo e l’Italia dopo la guerra in Ucraina

Francescano del Terzo Ordine Regolare, teologo romano e docente di etica alla Pontificia Università Gregoriana, padre Paolo Benanti è esperto di etica, bioetica ed etica delle tecnologie. Venerdì 22 luglio sarà a Lodi, ospite dell’evento “Up Lodi – Talks about the future” dedicato al futuro del mondo e dell’Italia dopo il conflitto in Ucraina, che si terrà all’auditorium Banco Bpm. In questa intervista, anticipando alcuni dei temi del dibattito, il frate ragiona di social media, cyberguerra e dialogo tra russi e ucraini come via per la pace.

L’algoretica, concetto da lei coniato per indicare un’etica collegata all’uso degli strumenti basati sugli algoritmi, scongiura l’algocrazia. Se è così ed è vero che gli algoritmi sorting e profiling determinano cosa conosco, quando lo conosco e perché lo conosco, le giovani generazioni russe sottostanno a una propaganda che si autoalimenta. Come se ne esce?

«Innanzitutto dobbiamo riconoscere che la Russia si è tirata fuori dal contesto di internet, quindi in questo momento non appartiene alla rete globale, ha una rete globale interna e non possiamo applicare concetti che valgono per le grandi piattaforme occidentali all’interno dello Stato russo. Hanno dei social network loro, in questo momento un po’ dietro una sorta di cortina invisibile, per cui lavorano e hanno sistemi separati da quelli occidentali. Anzi, è uscito fuori che la Corte Superiore russa ha appena fatto un’enorme causa a Google perché sembrerebbe che non abbia filtrato in passato i documenti che doveva filtrare, quindi hanno un sistema in cui è tutto monitorato a priori e controllato dal regime».

La mia domanda è proprio questa. Come si può sperare di far arrivare oltre questa “cortina” una diversa percezione della guerra?

«È come se da una parte noi avessimo la corrente elettrica a 220 e loro a 110. I due sistemi non comunicano».

Sempre a questo riguardo, Meta, la casa madre di Facebook e Instagram, ha ammesso una temporanea deroga ai limiti dei messaggi d’odio contro “gli invasori russi”. Qual è la sua opinione in merito? Pensa sia eticamente condivisibile?

«La questione è un po’ più complessa, nel senso che Facebook ha messo in atto a seguito di una serie di proteste e polemiche in tempo di pace, dei filtri automatici, perché farlo fare all’uomo sarebbe troppo invalidante per gli shock che procureremmo in queste persone e troppo costoso. In quanto piattaforma di comunicazione, Facebook vuole avere una policy di contenuti e questi filtri dotati d’intelligenza artificiale tagliano tutta una serie di contenuti che possono essere ritenuti violenti e offensivi per un pubblico medio. Questo fatto però crea dei problemi, perché a volte Facebook è l’unico modo per denunciare una serie d’ingiustizie in una serie di paesi poveri, in una serie di conflitti dimenticati, e già prima della guerra in Ucraina si parlava del fatto che i filtri di Facebook ci privavano di una fonte d’informazione rispetto a cose di questo tipo. Dal momento che rispetto a messaggi e fotografie molto forti sulla guerra, i filtri li avrebbero bloccati in automatico, è un consentire di far vedere quello che accade senza che ci sia un blocco automatico. Se c’è un missile che colpisce dei civili e faccio una foto per far vedere i danni che ha fatto, ci sono sangue, violenza, e i filtri bloccherebbero tutto. Per cui in Ucraina sono stati sospesi per permettere alla piattaforma di funzionare come una sorta di piattaforma giornalistica di chi carica video o frasi di quello che succede».

Così però passa tutto, anche messaggi d’odio.

«Facebook non è a favore di questi messaggi, ma per permettere una trasparenza in quelle zone, ha sospeso il filtraggio. Poi è chiaro che se si scrivono cose false o di odio passano uguale, ma l’idea è che in questo momento non c’è filtro».

Sempre Meta nel suo rapporto trimestrale ha rivelato che gli inviti di alcuni militari ucraini ai compagni ad arrendersi, provenivano da account violati. C’è una guerra dell’informazione o cyberguerra in corso? E come difendersi?

«Mio nonno è stato fatto prigioniero nel Donbass quando era con l’esercito italiano e c’è stato il famoso armistizio. Sono andato a rivedere la cassetta di guerra e c’era un volantino fatto dai tedeschi, scritto in russo, in cui da una parte si vede Stalin con la frusta che li manda a morire e dall’altra l’immagine di un prigioniero russo che si riposa in un campo di concentramento, e scritto in russo: “Questo è un lasciapassare per la vostra libertà”. Che c’è di differente? Semplicemente che quello era stampato e quest’altro arriva da un cellulare, ma sono cose molto antiche che continuano a esistere anche oggi. È la propaganda ed è antica come l’uomo. Una volta andava su carta, poi l’abbiamo fatta con gli autoparlanti, poi con radio Londra e adesso la facciamo con il digitale, ma è uguale».

In riferimento al post-Covid ha prospettato sette possibili scenari futuri: l’inondazione, le invasioni barbariche, il Medioevo, la guerra fredda, il vecchio e il bambino, l’alveare e la diaspora. È possibile esportare quest’analisi alla guerra?

«Non penso si possa fare, perché la pandemia è una questione globale, il virus non conosce barriere, strati sociali. La guerra invece è un fenomeno del tutto diverso. Innanzitutto è geograficamente determinata e poi per esempio manda a combattere gli uomini e non le donne, quindi come parallelo è un po’ troppo azzardato. Certo è che nella storia c’è uno stretto legame tra pandemia e guerra, di solito una causa l’altra. Si pensi a cosa è successo in passato con la spagnola e con la peste. Di solito le pandemie producono degli squilibri economici tali per cui poi non di rado sorgono dei conflitti all’interno della comunità umana, ma in questo caso la pandemia e lo scenario in Ucraina non sono connesse».

Come comunità di Assisi avete lanciato un appello alla pace. Anche papa Francesco ha richiamato l’insegnamento: “beati i costruttori di pace”. Qual è per lei la via?

«La via parte dal dialogo e dai contenuti dell’enciclica del Papa “Fratelli tutti”, cioè guardare all’altro non come un nemico, perché più costruiamo il nemico e più l’altro sarà una minaccia da annientare».

Nella concretezza di questo conflitto, com’è possibile?

«Il dialogo si fa mettendosi attorno a un tavolino, creando occasioni. Abbiamo comunità di francescani tanto in Ucraina quanto a Mosca e si fa parlando con le persone, cioè creando delle occasioni per stare insieme. Quindi si tratta di riaprire il confronto e il dialogo, cosa che in questo momento è completamente bloccato. Ma se non partiamo da questo punto, se neanche ci sediamo attorno a un tavolo a discutere, è molto difficile anche da pensare la pace».

L’odio tra “fratelli” ucraini e russi come si potrà superare?

«Uno dei generali massimi di Putin ha la madre ucraina, quindi non stiamo parlando di un odio razziale come tra Hutu e Tutsi, è un conflitto che nasce da un problema politico evidentemente».

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