Più delle parole possono i fatti. È un assioma che dovrebbe accompagnarci lungo tutto l’arco della nostra vita. Da piccoli quando si è completamente dipendenti dai genitori e dagli adulti in generale, da grandi quando la voglia di indipendenza e di autonomia deve necessariamente trovare equilibrio e armonia con il comune senso di responsabilità. Ma è sempre così? Non direi. Prendiamo in considerazione, ad esempio, come si comportano i ragazzi a scuola. Esiste forse un manuale di buone maniere? Un qualcosa che porti studenti e genitori a riconoscere l’autorità di un insegnante? Anche in questo caso ho dei seri dubbi. Allora cosa esiste? Direi che parlare di disordine non è affatto esagerato. Intendo non solo disordine interiore reso evidente da uno stato di disagio, di angoscia e da un senso di vuoto tale da soffocare ogni slancio creativo, ma anche da un disordine esteriore che condiziona, spesso, la cura di se stessi. Poniamo, ad esempio, attenzione all’abbigliamento. Sono molti i ragazzi e le ragazze che vivono un certo disordine estetico senza che nessuno intervenga per cambiare alcune discutibili abitudini. Nonostante gli inviti dei docenti a presentarsi a scuola con abiti sobri e consoni all’ambiente, dobbiamo continuare a fare i conti con ragazze dalle magliette eccessivamente scollate e con ragazzi i cui pantaloni lasciano a desiderare. «L’abito fa il monaco?». Non so. Fatto sta che ancora oggi, nonostante tutto, la scuola deve continuare a ricordare a ragazzi e genitori il significato del luogo in cui si trascorre gran parte della giornata per motivi di studio e impegno educativo. Se poi parliamo di bambini allora il discorso si fa più complicato sia per gli insegnanti che per i genitori. Di solito, com’è giusto che sia, per i bambini si è pronti a spendersi al massimo in amore, affetto e generosità. Anche a rischio di sbagliare. E qui il discorso va sul vivo. Quante volte mi capita di assistere al supermercato a certe scene in cui l’autorità dei genitori viene messa in discussione dal bambino pronto a piangere a squarciagola, a buttarsi per terra nel rispetto del rito del «voglio tutto e subito». Purtroppo spesso per amore, per debolezza o per poca disciplina, il bambino ottiene quello che vuole. Immagino già come sarà la vita in certe famiglie quando i capricci di oggi si trasformeranno in pretese di domani. Quali sfide nasceranno in certi ambiti famigliari! Genitori premurosi si mettono a completa disposizione mentre si adoperano per spianare ogni strada, liberandola da ostacoli che possono frapporsi tra loro e i figli. Un atteggiamento simile viene portato in classe in presenza degli insegnanti sempre più impegnati a spegnere un’eccessiva esuberanza che sfocia spesso in atteggiamento irrispettoso. E qui comincia il duro lavoro del docente che ha il dovere di rimarcare subito il senso del suo ruolo nella classe. Un ruolo che non deve essere assolto tra titubanze e debolezze. Ne va di mezzo un principio base educativo che fa capo al rispetto che si deve a una persona adulta. Più crescono e più i ragazzi pongono problemi. Cosicché una volta adolescenti faranno della loro irrequietezza un cavallo di battaglia fino a sfruttare appieno la debolezza degli insegnanti che perderanno così potere. Tutte esperienze che, una volta padri e madri, torneranno alla memoria, talché la vanteria fannullona verrà trasformata in storica impresa compiuta in classe dove, per sfinimento del docente, la lezione subiva frequenti interruzioni. Bisogna ammettere. Oggi, purtroppo, il concetto di educazione ha perso di significato. Genitori, educatori e insegnanti, pur consapevoli del proprio ruolo, non riescono più a presentarsi agli occhi dei ragazzi come educatori investiti di un preciso ruolo pedagogico, la conseguenza è devastante perché valori intrinseci come obbedienza e disciplina contano poco o niente. Non solo. Vacilla irrimediabilmente il rispetto per i genitori, per gli insegnanti, per gli adulti in genere. A motivo di ciò trovano sempre più un’irrazionale comprensione certi preoccupanti atteggiamenti che finiscono col determinare lo stile educativo nella famiglia come nella scuola, nella società come nelle relazioni interpersonali. Ma l’assurdo di tutto ciò è che proprio i giovani, molti dei quali salgono agli onori della cronaca per ignobili imprese, sentono un forte bisogno di autorità. Cercano adulti in grado di guidarli, in grado di porre loro dei limiti, in grado di frenarli davanti a particolari atteggiamenti sconfinanti nelle esagerazioni, ma nello stesso tempo cercano adulti in grado di offrire occasioni di crescita pronti a osare pur di raggiungere determinati obiettivi mediante l’impostazione di progetti. E’ così che genitori e docenti si scoprono come persone dotate di personalità, dotate di un forte ascendente fino ad essere riconosciute nella loro autentica autorità. C’è un rischio di cui bisogna prendere coscienza. L’eccessiva democratizzazione a scuola come in famiglia, può condurre i ragazzi su false ipotesi dove a imporsi è un dialogo tra pari. Quando genitori e figli, insegnanti e studenti si mettono sullo stesso piano, si rompe un naturale equilibrio di rapporti tra persone diverse chiamati a vivere ruoli diversi. Non è raro, infatti, trovarsi di fronte a ragazzi che si rivolgono ai propri genitori, chiamandoli con il nome di battesimo. Ma questo accade anche in molte nostre scuole dove i bambini si rivolgono alle maestre chiamandole per nome e gli studenti si rivolgono ai propri insegnanti dando del tu. I ruoli vanno rispettati e non ridotti al minimo. E invece questa particolare democratizzazione dei rapporti, non solo è condivisa, ma pare si sia rafforzata come patrimonio comune fino ad essere accettata come cultura pedagogica. Niente di più sbagliato. Una convinzione può trovare supporto nella libertà di vivere l’educazione senza per questo venir meno al rispetto che si deve a una figura adulta, genitore o educatore che sia. La libertà non presuppone il superamento del riconoscimento dei limiti. Non riconoscere un ruolo è un limite che va posto all’attenzione di chi si vuole educare. A rendere bene l’idea credo valga la pena citare Kant quando scrive: «Chi ha trascurato la propria educazione, non sa fare uso della propria libertà».
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