L’EDITORIALE - Le dimissioni di Mario Draghi: quattro scenari per una crisi

Il punto del direttore del «Cittadino» Lorenzo Rinaldi

In vista delle comunicazioni al Parlamento del presidente del consiglio dimissionario, previste per domani, sono almeno quattro gli scenari.

Primo scenario. I 5 Stelle, frantumati al proprio interno, tornano sui propri passi e la crisi rientra. Questo significherebbe la sconfitta di Conte, già oggi in difficoltà a guidare quel che resta del Movimento. Si tratta dello scenario meno probabile, anche alla luce della chiusura di Berlusconi e Salvini a proseguire l’azione di governo con i grillini, sebbene teoricamente ancora possibile, stante la totale imprevedibilità della politica romana.

Secondo scenario. I 5 Stelle escono dal governo ma non dalla compagine di maggioranza, ritirano i ministri ma accordano il sostegno esterno all’esecutivo. Mario Draghi ritira le dimissioni e prosegue l’azione di governo con un rimpasto in consiglio dei ministri: sulla carta l’operazione è possibile perché anche senza i grillini Draghi ha la maggioranza; tuttavia quest’ultimo a più riprese ha affermato che senza i 5 Stelle la sua azione di governo non avrebbe senso; un sostegno esterno potrebbe dunque “salvare capra e cavoli”, sarebbe una soluzione all’italiana. Certo che poi Conte dovrebbe rendere conto ai suoi.

Terzo scenario. Mario Draghi dopo le comunicazioni di domani alle Camere sale nuovamente al Colle per riconsegnare il proprio mandato nelle mani del presidente della Repubblica. Crisi irreversibile. Il presidente Sergio Mattarella scioglie le Camere e il Paese va al voto anticipato, in autunno. Il rischio che con l’attuale legge elettorale non si formi una maggioranza chiara non va escluso.

Quarto scenario. Il governo balneare. Occorre tornare con la mente alla prima repubblica, quando la durata media di un governo era di nove mesi e capitava sovente di dover ricomporre le maggioranze in Parlamento, in un complesso equilibrismo, garantendo tuttavia la governabilità del Paese. La prospettiva sarebbe quella di un governo nato in piena estate, con il compito di traghettare l’attività dell’esecutivo per qualche settimana, fino al termine delle vacanze, dando modo a una nuova maggioranza (centrodestra-centrosinistra senza grillini e Fratelli d’Italia) di coagularsi e cementarsi. Il governo balneare (il più corto fu presieduto da Amintore Fanfani nel 1954 e durò 22 giorni) potrebbe portare alla composizione di una maggioranza di governo per la gestione dell’autunno/inverno 2022 e per condurre poi nella primavera 2023 il Paese alle urne.

Qualunque sia la soluzione alla crisi, quanto avvenuto negli ultimi giorni allarga la frattura tra un Paese disorientato (come certificano Istat e Censis) e una classe politica che appare chiusa in sé stessa, incapace di uno slancio generoso in un momento assai complesso. Non è un caso che vi sia una cesura netta tra il gradimento del presidente del Consiglio e la fiducia risposta dagli italiani nei partiti. Non è la possibilità di andare al voto a essere messa in discussione (la Francia è fresca reduce dalle urne) quanto la schizofrenia dei partiti e dei suoi leader, emersa in tutta la sua evidenza in occasione dell’elezione del presidente della Repubblica prima e ora con questa inspiegabile crisi estiva.

Un piccolo segnale di speranza va colto nella presa di coscienza dei sindaci, che hanno lanciato una sottoscrizione tra i primi cittadini italiani, arrivata a oltre mille firme, per chiedere a Draghi di ritirare le dimissioni. Esiste evidentemente una parte sana della politica italiana, non a caso quella più vicina ai problemi quotidiani dei cittadini, che guarda più al bene del Paese che ai piccoli interessi di bottega dei partiti.

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