Una volta era detta “il pianeta che vive”. Oggi, forse, la nostra Terra bisognerebbe chiamarla “il pianeta che muore”. Lo stato dell’ambiente non è mai stato così rovinoso e la sua gestione così fallimentare come nei tempi attuali che, per curioso paradosso, coincidono con la massima esplosione del progresso e della tecnologia. Non c’è angolo di mondo che si salvi dalla furia scatenata degli elementi. Alluvioni devastanti, frane grandi come montagne, inondazioni fulminanti e uragani da incubo si alternano a scenari opposti dominati da afa, siccità e incendi, seminando morte e desolazione. La natura, irrisa e dissacrata dalla modernità, mostra agli umani il suo lato cattivo. In effetti, la dimensione planetaria dei fenomeni è la prova schiacciante che sono causati dalla mano dell’uomo che si è stabilmente insediato in tutte le nicchie dell’immenso habitat terrestre. Tuttavia, l’affermazione secondo cui un tale sconvolgimento del clima è una conseguenza dell’effetto serra è da ritenere semplicistica. E’ indubbio che l’uso massiccio di combustibili fossili fa aumentare la concentrazione nell’atmosfera del biossido di carbonio e di altri gas serra, ma è lecito ipotizzare che numerosi sono i fattori in campo, collegati a un modello industriale e capitalistico teso a schiavizzare il lavoro e massimizzare i profitti. Modello che è stato universalmente adottato dai regimi più diversi, liberali o conservatori, industriali o rurali, democratici o autoritari. E questo significa che non è la politica che ci salverà dalla catastrofe, ma un’autentica educazione ambientale. Quali sono i fattori che stravolgono la faccia della terra? Bisognerebbe cominciare dalla deforestazione. Ma, quando essa viene chiamata in causa, gli esperti fanno puntigliosamente notare che in Italia, stando alle statistiche ufficiali, le foreste crescono, per la ragione che i diffusi fenomeni di abbandono delle aziende agricole e il ritiro dei ghiacciai alpini lasciano spazio al rimboschimento naturale. E’ altrettanto vero, però, che la straordinaria diffusione degli incendi boschivi abbassa necessariamente la qualità forestale. Insomma, le foreste crescono in superficie, ma sicuramente sono più striminzite e pertanto la quantità di biossido di carbonio da esse sottratta all’atmosfera è più modesta. E poi, a mio avviso, bisogna parlare degli alberi, che per motivi inesplicabili incontrano la disaffezione della civiltà industriale. Quando si costruisce una strada, un’autostrada o un villaggio residenziale oppure si ingrandisce una periferia urbana, i primi a sparire sono gli alberi, milioni di alberi bellissimi vengono segati, accatastati e gettati nel camino. A queste scene di distruzione si può assistere all’ora del Telegiornale quando va in onda l’inaugurazione di nuovi tratti stradali e le autorità intervenute non si stancano di evidenziare che quei cantieri danno lavoro a migliaia di operai. Come se le strade si costruissero per dare lavoro a chi non ce l’ha e non per un concreto bisogno della società e dell’economia. E poi c’è l’agricoltura negletta e dimenticata, che giorno dopo giorno viene inghiottita dal cemento e dagli abusi edilizi scomparendo nel nulla mentre il territorio rurale, spogliato di ogni funzione economica, produttiva e biologica, diventa una terra di nessuno dove imperano le bande del crimine e del malaffare. I consumi di suolo, che nel nostro Paese battono ogni record, altro non fanno che togliere spazio alla vegetazione, con il risultato di impoverire l’aria di ossigeno, arricchirla di gas tossici e distruggere il paesaggio e la biodiversità. Il recente rapporto dell’Esaec (gruppo di lavoro in seno alle accademie delle scienze dei Paesi dell’Unione e altri) lancia l’allarme. Le mappe del calore mostrano che a fine secolo la valle del Po sarà una graticola arroventata, con ondate di calore che potranno interessare oltre il 25% della stagione estiva, mentre gli Appennini saranno stretti nella morsa degli incendi e dell’afa. Siamo ancora in tempo a salvare il Belpaese? Forse sì. Che cosa dobbiamo fare? La ricetta è facile come tutte le cose ispirate alla semplicità e alla verità. Dobbiamo valorizzare e proteggere l’agricoltura, nell’assunto che essa è l’unica forma pratica e organizzativa di difesa del suolo e di costruzione e modellamento del paesaggio. L’emarginazione del mondo agricolo e la perdita del suo ruolo sociale, cui assistiamo sgomenti dagli anni Cinquanta, spiegano bene perché nel nostro Paese l’ambiente peggiora sempre più. E’ quindi dall’agricoltura che bisogna partire per un ambizioso progetto di riconversione “verde” dell’economia mirato alla salvaguardia ambientale. E a questo punto, chi si azzarderà a trasformare le cascine lodigiane in ristoranti e discoteche spacciando l’operazione come riqualificazione del territorio?
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