L’agricoltura, il Lodigiano e il futuro

Sono iniziati nei giorni scorsi, promossi da associazioni di cooperazione internazionale in collaborazione con le istituzioni milanesi, i primi incontri pubblici sul tema dell’Expo 2015 “Nutrire il Pianeta”. La Fao, l’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, ricorda che “Il diritto al cibo è un diritto umano. Protegge il diritto degli esseri umani a vivere con dignità e liberi dalla fame, dall’insicurezza alimentare e dalla malnutrizione” e segnala che sono oltre 200 le malattie che si diffondono attraverso il cibo. Più cibo per rispondere alla crescita della popolazione mondiale, ma diversamente prodotto e distribuito per nutrire tutti, ridurre gli sprechi, mangiare sano, ma anche affermare nuovi criteri di “produttività” a partire dalla crisi climatica e dalla “sfida ambientale” (inquinanti dell’aria e riduzione della CO2, disponibilità dell’acqua, consumo del territorio agricolo, eccessi produttivi). Occorre anche mantenere e migliorare il reddito degli agricoltori in agricolture molto diverse: sono sfide difficili, anche per la fase recessiva che riguarda i Paesi occidentali, ma soprattutto per gli effetti inflazionistici e speculativi dei prezzi del cibo che hanno colpito duramente le aree più deboli e le popolazioni più povere. Per queste ragioni la produzione agricola è parte fondamentale delle trattative sul commercio mondiale. Per governare questi processi sono indispensabili coordinamenti delle politiche agricole per grandi aree: l’Europa, per decenni, sollecitata inizialmente dall’esigenza dell’approvvigionamento alimentare, incentivò la produttività attraverso il sostegno dei prezzi, sino a determinare negli anni ‘80 produzioni agricole eccedentarie che hanno richiesto “stoccaggi” per limitare la caduta dei prezzi. Le scelte successive sono state l’indicazione di “quote produttive” (per limitare la produzione e difendere il reddito agricolo) nei settori del latte, del vino, dello zucchero ecc., ricorrendo anche al “set aside” (messa a riposo delle terre) e ad incentivi alla riconversione produttiva (premi agroambientali) e allo “sviluppo rurale”, sino ad arrivare con la riforma Fishler al “disaccoppiamento” degli aiuti, fra produzione e sostegno comunitario. Si è incentivato, infine, “l’associazionismo dei produttori”, poichè le grandi trasformazioni industriali e tecnologiche e l’affermazione di industrie multinazionali e della grande distribuzione nel comparto agroalimentare, hanno cambiato i rapporti di forza con il mondo agricolo che ha e sta cercando nuove alleanze con i consumatori, con i cittadini e i Comuni, soprattutto sulla etichettatura dei prodotti e sulle questioni ambientali (cooperative,mercati comunali, biologico, Km zero, gruppi d’acquisto solidali, agriturismi ecc.) E la nuova PAC presentata giovedì scorso al Consiglio dei Ministri dell’Unione Europea nel contesto di una crisi economica e finanziaria drammatica? Ci sarà ancora un anno per discuterne prima delle decisioni definitive, tuttavia l’Italia (tre ministri agricoli in tre anni) rischia di perdere il 18% delle risorse, circa 285 milioni di euro, mentre una ripartizione più equa delle risorse tesa a non premiare posizioni di “rendita”, ma gli agricoltori “attivi”, appare ancora debole. Il mancato “decreto sviluppo”sollecitato da tutte le forze economiche e sociali al Governo italiano e i “tagli” finanziari alle Regioni e agli Enti Locali, rischiano di ridurre anche i contributi nazionali e regionali all’agricoltura. Eppure l’agroalimentare italiano dovrebbe essere “strategico”: il fatturato industriale del 2010 è stato di 124 miliardi di euro, i prodotti Made in Italy sono apprezzati nel mondo, 220 sono i prodotti italiani certificati, bilancia commerciale positiva, marchi e aziende prestigiosi. Nel mondo agricolo si è capito che bisogna fare sistema, ricomporre gli interessi fra agricoltori, industriali, grande distribuzione anche se in ritardo rispetto ad esperienze europee; che occorre guardare al mercato interno e a quello internazionale. Anche nel nostro territorio gli agricoltori, consolidando la produzione lattiera di grande qualità come vocazione principale, si sono sempre più rivolti con iniziative riuscite, ad una agricoltura multifunzionale: riconversioni al biologico, esperienze lungimiranti di cooperative e consorzi, innovazioni nei prodotti (latte fresco e crudo, pomodoro, orticole,) produzione di suini più in sintonia con i gusti dei consumatori; agriturismi, impianti energetici sostenibili, punti vendita in azienda, mercati rionali, utilizzo di aree “naturali e protette”, vivaismo, servizi alle imprese. In questa direzione si muovono anche i Distretti del latte e quello per le agroenergie, recentemente costituitesi, con sede al Parco Tecnologico. La Comunità Europea assorbe il 65% dell’export agroalimentare italiano, altre aree sono in crescita (USA e Giappone), ma la riduzione dei contributi pubblici e l’asse franco-tedesco che sta influenzando la riforma della PAC (e la nostra debolezza politica) fanno immaginare scenari difficili. Occorreranno modifiche alla PAC, azioni e risorse per sostenere la crescita (sostenibile), ma anche predisporsi a una fase dove la competizione sarà ancora più aperta. In tal senso il nostro territorio ha un valore aggiunto: è la rete dei centri di ricerca agroalimentare. Anzitutto il Parco Tecnologico che raccoglie al suo interno un polo (pubblico e privato) che ha animato ricerche importanti: sulla qualità del latte, la prevenzione di malattie, sulla longevità dei bovini, sulla diabrotica che attacca il mais, sulle tecniche per limitare i nitrati, sui prodotti dell’ortofrutta e sul riso ecc. Il Parco può esercitare controlli, analisi e servizi alle imprese, ha registrato il marchio DNA Controllato che può tutelare consumatori e produttori e svolge una positiva attività di cooperazione internazionale.(Africa e America Latina in particolare) e riceve decine di delegazioni di altri Paesi. Un nuovo accordo di programma (già deliberato da Comune, Provincia, Università) prevede il trasferimento integrale nel Parco dell’Università di Medicina Veterinaria e di alcuni Dipartimenti di Agraria, mentre un Centro per l’Innovazione facilita l’incubazione di imprese in attesa del Business Park. Questo modello si avvale anche dell’Ospedale veterinario per grandi animali, del Centro zootecnico didattico e dell’Istituto Zooprofilattico, prevede anche la realizzazione della “Casa dell’agricoltura” e persegue l’obbiettivo di far cooperare Università, Ricerca, Impresa, Territorio. In tal senso il progetto può diventare ancora più ambizioso con l’inserimento nell’area del Parco degli altri quattro prestigiosi Istituti di ricerca lodigiani (ed altri delle vicine Province) del Consiglio per la Ricerca in Agricoltura (CRA) che fanno capo al Ministero Agricolo. Sono gli Istituti Foraggero e Lattiero Caseario di Lodi (ora unificati), il Cerealicolo di Sant’Angelo Lodigiano, l’Ortofrutta di Montanaso Lombardo che hanno risorse scientifiche rilevanti e si sono affermati nel passato grazie a prestigiosi direttori (basti pensare a Giovanni Haussmann). Fui relatore al Senato della riforma di tali Istituti che erano 25 in Italia, con 25 Consigli di Amministrazione e decine di unità di ricerca. Questa frammentazione si superò con l’istituzione di un solo Consiglio, il CRA, offrendo a tali Istituti più autonomia per facilitare il loro rapporto con le imprese ed i territori. Tale riforma è “al palo”, non è andata avanti: basti pensare che in questi tre anni i tre Ministri che si sono succeduti, hanno indicato (tre) presidenti per il CRA bocciati regolarmente dal Ministro successivo. Il trasferimento al Parco degli Istituti lodigiani del CRA, ovviamente nel rispetto pieno della loro autonomia, è una scelta che accrescerebbe ulteriormente le sue potenzialità. In aree competitive la ricerca scientifica richiede “massa critica” per condividere apparecchiature costose e in evoluzione, sistemi informativi di qualità, valutazione dei risultati e premiazione del merito, capacità di attrazione (ricercatori italiani e non: al Parco il direttore scientifico è inglese ed altri ricercatori sono “rientrati” da esperienze fatte in altri Paesi). E servono risorse finanziarie, non solo episodiche, per costruire un contesto di lavoro programmato. Le principali risorse oggi sono date dalla partecipazione ai bandi per progetti europei, nazionali, regionali. In una graduatoria europea sui sistemi innovativi l’Italia è al 16° posto su 27, dietro Portogallo ed Estonia. Una “crescita sostenibile” e le sfide del cibo, della salute e agroambientali non possono sicuramente prescindere dalla ricerca.

© RIPRODUZIONE RISERVATA