La spending review non abita a scuola

Che anche la scuola possa diventare oggetto di confronto tra i partiti politici in piena campagna elettorale, può essere, ma che tale confronto si sia al momento limitato a pochi problemi di superficie questo è un dato di fatto. È sempre stato così. Dai primi interventi dei diversi leader, infatti, si capisce che ancora una volta i veri problemi vengono soppiantati da dichiarazioni più o meno eclatanti, ma lontane dalle reali questioni. Si sono avuti dei rumors sulle «vacanze estive più corte» o sui rischi del ritorno a una «scuola classista». Tutto discutibile. In realtà la scuola soffre di ben altri e più seri accidenti. Sulla scuola pende il futuro di tanti precari stufi di affondare nelle graduatorie senza fondo; di tanti giovani delusi da un titolo di studio conseguito con sacrificio e impegno per poi scoprirne l’inutilità in una società che va in tutt’altra direzione. Data la situazione in cui versa la scuola la speranza è che non si parli più di «spending review» in salsa scolastica o di «spread» in salsa green economy. La scuola non è né una spesa, né un vuoto a perdere. La scuola, al contrario di quanto si possa pensare, è un investimento, un’opportunità unica di sviluppo sociale, educativo, formativo. E’ in gioco il futuro delle nuove generazioni che non possono essere sacrificate sull’altare dei tagli. Investire dovrebbe diventare la parola chiave per il prossimo governo, che sia di destra o di sinistra l’importante che non sia sinistro. In più di un’occasione i tagli sono stati presentati dai ministri negli ultimi dieci anni come dolorosi, ma necessari secondo un ragionamento arzigogolato di difficile comprensione. Sembra quasi che tutti si siano ispirati al principio del «Rasoio di Occam», sminuendo, di fatto, l’importanza dei processi formativi a semplici iniziative fuori sistema. La verità è più semplice di quanto si possa immaginare. Sulla scuola non si dovrebbe tagliare per risparmiare, ma se mai spendere per generare. Generare ricchezza professionale, ricchezza educativa e motivazionale, migliori condizioni di studio, curiosità metodologica, e chi più ne ha, più ne metta. Altro che spending review. «Se leviamo anche la possibilità dello studio voglio sapere dove andiamo a finire modulo» ammonisce Camilleri. La risposta è affidata come sempre alla scuola a cui viene riservato il ruolo principale di educare e formare le nuove generazioni. Non è bello venire a sapere che tanti nostri giovani, diplomati o laureati, preferiscano cercare fortuna all’estero, lontano dai luoghi dove hanno trovato occasione di formazione, di approfondimento del sapere, di ricchezza educativa e culturale. E’ come dire che a noi tocca prepararli e agli altri raccogliere i frutti. Basta con questa inutile e dannosa diaspora giovanile. Il futuro governo deve ricreare un clima di credibilità puntando sulla qualità dell’azione didattica e sulla motivazione professionale. Che senso ha promettere attenzione ai processi formativi se poi non ci sono risorse economiche destinate alla formazione. Non si può osannare la digitalizzazione del sistema istruzione per poi dover fare i conti con tanti edifici scolastici che giacciono in penose situazioni strutturali. Con che credibilità parliamo di nuovi metodi pedagogici quando poi diventa un’impresa assicurare risorse economiche per fare didattica. Perché si insiste di puntare su nuove formule concorsuali per poi dover fare i conti con insegnanti che abbracciano la professione docente come ripiego occupazionale per arrivare davanti ai ragazzi senza convinzione e senza stimoli motivazionali. E che dire del tanto osannato ricambio generazionale della classe docente, sapendo che un tal processo è già compromesso in partenza dal pensionamento posticipato. Ci vuole un bel coraggio a parlare di una nuova generazione docente quando questa è rappresentata dalle migliaia di precari inseriti da decenni in graduatorie in attesa di definitiva sistemazione. Quale entusiasmo proverà il tal docente al momento della fine del calvario. Sono solo pochissime osservazioni che vogliono puntare a riproporre e a ricollocare nella giusta posizione la discussione scuola. Ripartire dalle nuove necessità è di per sé una priorità che dovrebbe essere sentita e condivisa da tutti i partiti. Nel programma del Pdl sulla scuola viene sottolineata la necessità di riprendere alcuni punti essenziali per promuovere il rilancio della centralità dell’istruzione e della formazione. Bene. Riprendono così vigore l’importanza della valutazione dei docenti, dell’autonomia in fatto di reclutamento degli insegnanti su scala regionale, del diritto allo studio e della libera scelta della scuola da parte delle famiglie. Attenzione però. Sono tutti argomenti più volte, nel passato, messi già sul tappeto dai diversi ministri che si sono alternati alla guida del dicastero all’istruzione, ma che vuoi per reazioni sindacali, vuoi per strane operazioni di strumentalizzazione degli studenti, vuoi per mancanza di una seria politica di investimenti, non si è mai andati oltre le buone intenzioni. E invece bisogna avere il coraggio di spingersi oltre le intenzioni, con la sola differenza che su certi argomenti è bene non sottrarsi al duro confronto non solo con le parti sociali, ma anche con gli addetti ai lavori. Una strada forse più lunga, ma sicuramente più proficua e più concludente dal momento che ogni dialogo porta sempre a un obiettivo frutto di faticosi compromessi. Sulla scuola occorre che tutti si debbano spendere di più. Non scambiare un settore come l’istruzione alla pari di un peso da sopportare e da trascinare a fatica perché comunque sterile e improduttivo. Certo la scuola non è un’azienda nè ha un fatturato da movimentare. La scuola non tratta merci, nè risponde a logiche economiche di mercato. Piuttosto è più corretto dire che è proprio dalla scuola che parte il futuro di una comunità, di un territorio, di un sano protagonismo fatto di sacrifici, impegno, fatica e rinunce. Questo non è un cammino virtuale, ma reale, educativo, propedeutico dove può trovare spazio l’etica, la ragione, l’educazione, dove si impara a mettersi al riparo e a difendersi dai falsi idoli, dove s’impara a vivere accanto al diverso, al più debole, al più bisognoso. E’ prassi. E’ la speranza che si contrappone ai programmi elettorali.

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