La penna, questo vago ricordo

È di questi giorni la notizia che i ragazzi scrivono poco e male, mentre si dimostrano alquanto abili nella tecnica del copia e incolla. Pare di capire che i ragazzi oggi non riescono più a scrivere perché fanno fatica a concentrarsi, non hanno più fantasia, creatività, perché non sanno cosa dire, come dirlo. Rinunciano a riflettere, ad approfondire, a dare significato ai concetti. Tutto viene ridotto all’essenziale senza badare al contenuto. Si cerca qualcosa di diverso, di concreto, di più facile e meno impegnativo che li aiuti a risolvere e superare le difficoltà. Si preferisce più la conversazione che lo scritto. Quando proprio si è costretti a scrivere qualcosa allora è meglio affidarsi al computer e alle salvifiche abbreviazioni che offre, alla tecnica del copia e incolla. Eppure è stato proprio un copia e incolla a mettere nei guai quello che era considerato il più apprezzato ministro del governo di Angela Merkel. Un barone bavarese, diventato dottore grazie a una tesi di laurea copiata per gran parte proprio con il sistema del copia e incolla. Un trucco che gli è costato un trittico micidiale: il titolo di dottore, la poltrona di Ministro della Difesa, un radioso futuro da politico. Il barone vittima dei tempi moderni? Può darsi. Viviamo un tempo in cui tutto è più veloce, più ritmato, più facilitato, più sintetico, più liquido. Come può l’uso della penna, che rallenta il ritmo, inserirsi in questo vortice comunicativo? Nelle scuole penne e quaderni stanno diventando oramai un ricordo del passato e con essi gradualmente muore la voglia di scrivere. Consoliamoci. Il grande Socrate non ha lasciato nulla di scritto. Tutto ciò che il filosofo ateniese aveva da dire, lo ha affidato non a una mano tremante, ma al ricordo dei suoi discepoli. A loro il compito di tramandare il suo pensiero. Evidentemente la penna gli pesava più di quanto gli pesasse l’accusa di empietà. Di esercitarsi con le lettere dell’alfabeto neanche a sentirne parlare, perché «l’alfabeto ingenera oblio delle anime di chi lo imparerà». Parola di Socrate. Almeno così racconta Platone, uno che invece ha scritto anche troppo. Oggi sia pure in chiave moderna, si combatte una sorta di pigrizia. E’ vero. I ragazzi scrivono poco e quel poco che scrivono preferiscono affidarlo al computer. Oramai tutto fa parte di un passato che non torna più. Sono un ricordo lontano esercitarsi con la numerazione, imparare a memoria le tabelline, le poesie, i versi dei classici. Molti ragazzi non sanno cos’è l’Iliade, l’Odissea, l’Eneide. Omero? Sarà forse un osso del braccio? Virgilio? Sarà mica un motore di ricerca. Dante? Non è forse un ottimo olio toscano? Del resto cosa possiamo mai pretendere. Non si usa più fare il riassunto di un brano antologico, un componimento, il commento di una poesia, la relazione su una giornata indimenticabile, la ricerca dei «vocaboli difficili». La penna diventa sempre più uno strumento d’altri tempi. Si scrive poco e quel poco che si scrive, si scrive anche male, nervoso, con una grafia talvolta illeggibile, infantile, sconnessa, non rispettosa delle virgole, dei punti. I ragazzi stanno perdendo l’abitudine alla scrittura, mentre sono molto bravi a usare la tastiera del computer, del cellulare quando devono mandare messaggi a parenti o amici. Quell’agilità così manifesta nello smanettare un cellulare è pari alla lentezza messa in campo quando si deve scrivere con una penna. Con la penna in mano si è impacciati, incerti, persino dubbiosi sul suo effettivo utilizzo. Il risultato? Grafia spesso illeggibile, pendente, ingobbita, misteriosa. Meglio prendere appunti con un computer. Oggi sempre più piccoli, miniaturizzati, con un’infinita ricchezza di funzioni speciali. Mandare un augurio per un evento particolare, fare un telegramma di condoglianze, scrivere una cartolina da una località lontana, non è più un problema della mente. Cosa dire o come dirlo, è un problema che risolve un qualsiasi motore di ricerca. Tutto questo a prescindere dalla punteggiatura, dalla correttezza sintattica, dalla forma, dal lessico. E allora abbondano gli anacoluti, le ripetizioni, certi strani congiuntivi. Per fortuna in diverse scuole sono in atto progetti che partono proprio dall’uso della penna, dal modo di impugnarla, da un suo corretto utilizzo, dalla bella grafia. Si ritorna a ritmare il movimento della mano per dare ordine e chiarezza a ciò che si scrive. La penna ritorna ad essere uno strumento di comunicazione, di trasmissione del proprio pensiero. Si riparte dalla valorizzazione della scrittura, dall’educazione di una rinnovata forma mentis che metta al primo posto la cura di riportare su carta il proprio pensiero. Quante volte ci siamo sentiti dire che questi ragazzi non riescono a farsi comprendere persino dai docenti impegnati nei test universitari. Sono ragazzi cresciuti all’ombra della tastiera, che mostrano serie difficoltà quando devono prendere in mano una penna. Giovani matricole che scivolano facilmente in espressioni sgrammaticate, sintatticamente irreparabili tanto da far inorridire persino il più navigato docente. Bisogna partire sin da piccoli, dalla scuola dell’infanzia. Educare i bambini alla scrittura, alla cura della grafia, a piccole composizioni; educare la mente a ordinare i concetti, le idee; a dare forza alle proprie tesi, alle proprie osservazioni. A dare un ordine temporale agli avvenimenti, alla conseguenza logica; a leggere i fatti per distinguerli dai misfatti. Occorre riprendere certe sane abitudini. Educare l’alunno sin da piccolo a sintetizzare, a memorizzare, a sviluppare la propria fantasia, a raccontare, anche se con brevi riflessioni, il mondo che lo circonda, a raccontare il proprio stato d’animo, le proprie ansie, paure. Ma a raccontare con la penna oltre che con lo sguardo, con i gesti, con le parole. Con questo non si vuole tornare indietro, ma semplicemente restituire potenza al pensiero che va allenato costantemente per non finire atrofizzato. Occorre educare i ragazzi, sin da piccoli, a non lasciarsi dominare dalla tecnologia, ma se mai a dominarla, a trasformarla in quello che è, e deve essere: un supporto, un aiuto. Solo così si evita di viverla come una condizione indispensabile per raccontare, esprimere, sintetizzare, scrivere. In ultima analisi per comunicare.

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