La mediocrità è diventata un valore...

Molti credo abbiano visto il film «Forrest Gump» dove un grande Tom Hanks interpreta un personaggio un po’ particolare tanto da suscitare simpatia e condivisione. Vedo in questo film il trionfo della mediocrità. Cosa c’entra questa breve premessa con l’argomento che vado a trattare? C’entra eccome. E vediamo perché. Molti quotidiani, compreso «Il Cittadino», hanno pubblicato, recentemente, i risultati ottenuti dai maturandi agli esami di Stato da poco conclusi. Non solo. Ultimamente si è parlato tanto sulla stampa anche degli esiti delle prove Invalsi che si sono svolte in tutta Italia lo scorso maggio nei diversi ordini e gradi di scuola. Sia nell’uno che nell’altro caso i risultati hanno suscitato qualche perplessità mista a preoccupazione. Il perché è presto detto. Il rendimento scolastico raggiunto dai ragazzi è calato in modo preoccupante. Agli esami di Stato, infatti, sono decisamente diminuiti i voti alti, il traguardo del cento ha subito un sensibile rallentamento rispetto al passato mentre si è rafforzato sempre più il miraggio della lode. C’è chi parla di eccessivo rigore da parte dei docenti nelle valutazioni e c’è chi sottolinea, al contrario, lo scarso impegno nello studio da parte dei ragazzi. Fatto sta che la fascia media delle valutazioni ha raggiunto, quest’anno, un livello piuttosto alto in termini di percentuale. Dobbiamo preoccuparci? I pareri sono discordanti. E’ pur vero che l’esperienza di vita che i diplomati si apprestano ad affrontare sarà la cartina di tornasole per dimostrare quanto si può valere nella vita anche senza un voto alto. Nelle prove Invalsi, invece, a preoccupare è il gap in aumento tra scuole del nord e scuole del sud. Una riflessione a parte merita il settore primario con le scuole elementari i cui esiti appaiono tendenzialmente in linea tra nord e sud. Diverso quanto si registra nelle scuole medie e nelle superiori. Qui la forbice si allarga ulteriormente rispetto agli anni passati soprattutto nelle medie con risultati deludenti e per certi aspetti anche falsati dal triste e crescente fenomeno del «teacher cheating», ovvero delle scorrettezze durante le prove. Un fenomeno alquanto marcato in Campania, Calabria e Sicilia. In buona sostanza si tratta dei famigerati aiutini che gli insegnati nella loro esplosiva generosità non fanno mancare ai propri allievi durante le prove pur di fare bella figura agli occhi di chi è chiamato a valutare. Ma non tutte le ciambelle nascono col buco. Un complesso calcolo adottato e riconosciuto a livello internazionale, smaschera l’inutile e dannoso sistema che offre, peraltro, un’immagine professionale alquanto negativa, sempre più messo in atto da docenti che dovrebbero essere degli esempi di correttezza e trasparenza. In parole povere in molte scuole di qualche regione del meridione ci sono docenti “imbroglioni” che con il loro diretto intervento falsano i dati conclusivi. E questo non va bene. Aiutare i ragazzi va sempre bene, ma condizionarne gli esiti in una prova di valutazione nazionale, checché se ne dica, questo non va bene poiché si risolve in un fallimento dell’opera didattica. Il docente deve mettersi bene in testa che più dello strategico e provvidenziale aiutino visto come garanzia per un successo finale, può un modesto risultato ottenuto dall’alunno con fatica, impegno e speranza di migliorare. Ebbene sapere che ha più valore la farina del proprio sacco che la crusca altrui. Una pesante ingerenza da parte dell’insegnante può sicuramente determinare dei risultati apprezzabili nell’immediato, ma non educa alla vita che, al contrario richiede capacità intuitiva, creatività, quel particolare «esprit de finesse», come diceva Pascal, che da solo offre la possibilità di scoprire la verità, di trovare la soluzione. E questo è patrimonio di ciascun individuo che nessuno può alterare. Del resto come giustificare agli occhi dei genitori e degli stessi alunni il comportamento del docente che punisce chi suggerisce o chi aiuta durante il compito in classe, mentre poi è egli stesso a offrire un discutibile comportamento durante le prove, falsando di fatto l’esito finale? Si sa che ciò che muove l’insegnante, durante le prove Invalsi, è il desiderio di volere ad ogni costo dimostrare di avere bravi alunni quasi fosse l’unica strada da percorrere per nobilitare se stesso e placare così l’ansia da prestazione professionale ovvero di affermare la propria immensa potenzialità conoscitiva unitamente alla capacità di saper ben gestire i mutamenti della realtà classe a lui affidata. Ma così facendo il nostro docente si affida alle ragioni di calcolo e non alle ragioni del cuore. E le ragioni del cuore ci dicono che sbagliare fa parte della natura umana, quindi insegnare a gestire l’errore vuol dire insegnare a gestire i dispiaceri della vita, vuol dire resistere e imparare a non accasciarsi sotto il peso di un infelice esito, vuol dire affrontare le chine e i dossi con assoluta libertà di pensiero senza per questo essere vittime di fatalismi. Ecco perché l’insegnante deve essere visto come colui che insegna a leggere e a capire un modo nuovo di vivere la vita senza sotterfugi e imbrogli vari. Questo vuol dire essere normali, bravi o mediocri, ma pur sempre essere se stessi. Quindi la mediocrità viene vissuta come valore di vita indipendentemente da ciò che gli altri possono pensare. Se si è d’accordo su questo allora è praticamente inutile affannarsi per dare un aiutino a chicchessia pur di dimostrare qual buon lavoro si è stati capaci di svolgere e a quali bei risultati gli altri sono potuti arrivare. Non è questo l’obiettivo finale. Non sono queste le preoccupazioni primarie che devono scuotere l’animo di un insegnante. Il lavoro di un bravo docente in classe non è quello di insegnare ai ragazzi di essere necessariamente i migliori, ma quello di insegnare ad impegnarsi per fare le cose nel miglior modo possibile, secondo le proprie capacità, il proprio talento, per restare sempre se stessi. L’importante è non mollare mai. «Cercare sempre e non trovare mai» ci ricorda Brisone di Eraclea, ovvero come dice Luciano de Crescenzo scrittore, regista e saggista «la gioia non sta sulla vetta, ma nella salita, altrimenti gli scalatori si farebbero depositare dagli elicotteri direttamente sul cocuzzolo delle montagne».

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