Italia-Europa, si vince ma insieme

Non sarà certo un vertice europeo - sotto forma di Consiglio Ue, Eurogruppo o Ecofin - a risolvere i problemi del sistema-Italia, caricato del pesante fardello del debito pubblico e sottoposto ad attacchi speculativi. Ma di sicuro il consesso comunitario appare oggi quello più adeguato per affrontare rischi di portata mondiale, se è vero, come è vero, che non solo i piccoli Paesi (Grecia, Irlanda, Portogallo), ma addirittura colossi come gli Stati Uniti corrono il pericolo-default.Nell’epoca dei mercati globali, della finanza (non sempre trasparente) che detta legge, dell’interdipendenza economica, il piano nazionale può non essere sufficiente per evitare il peggio, specie quando si ha, come succede al Belpaese, un debito grande come una montagna, che peraltro continua a crescere. Gli Stati devono rimboccarsi le maniche e agire sul piano delle finanze virtuose, del ripensamento della spesa pubblica, delle riforme intese a rilanciare crescita e lavoro e a conferire sostenibilità alla previdenza. Eppure l’azione del singolo Paese oramai non basta: allora Eurolandia può costituire la dimensione appropriata, sia per tutelare la moneta comune dei Paesi membri, sia per rilanciare lo sviluppo dell’economia reale confrontandosi con gli altri attori planetari.L’allarme emerso in Italia con l’ultimo scossone borsistico ha fra l’altro riportato in primo piano la crisi finanziaria ed economica partita nel 2008 con i subprime americani. Smentendo quelle voci - numerosissime, soprattutto di provenienza politica - che raccontavano una recessione “alle spalle”. Invece la crisi c’era e c’è: e ne sanno qualcosa le imprese che hanno commesse a singhiozzo o che faticano a ottenere prestiti bancari; gli istituti di credito che perdono peso specifico e valore; i lavoratori e le famiglie, su cui gravano disoccupazione, calo dei redditi, restrizione forzata dei consumi e incertezza per il futuro.Di certo l’empasse attuale ci consegna alcune certezze. La prima: il rigore dei conti statali, il controllo del deficit e del debito non sono uno sfizio o un’inutile imposizione europea, ma rappresentano uno dei primi, positivi compiti di un governo nazionale. La seconda: all’inizio del nuovo millennio la finanza fa la parte del leone sui mercati mondiali e, per tale ragione, occorrono contromisure coerenti: la governance condivisa e gli altri provvedimenti che l’Ue sta faticosamente cercando di impostare sono una strada credibile.Una terza “certezza”: l’economia reale, quella che passa per i settori produttivi, il commercio, l’occupazione, i consumi, il risparmio, deve ottenere costante e prioritaria attenzione da parte di ogni Paese e delle istituzioni sovranazionali. Essa è un punto fermo, un valore in sé, che può provvedere al benessere dei cittadini, delle famiglie, della società nel suo insieme. L’azione politica di ogni buon governo deve essere dunque orientata ad assicurare il libero mercato, senza rinunciare a prudenti correttivi mediante investimenti, incentivi, leva fiscale, controlli e regole, formazione e istruzione, welfare state, accordi internazionali...Non da ultimo, per i Paesi europei l’Ue diventa - piaccia o non piaccia - un percorso obbligato per salvaguardare gli stessi interessi nazionali, pur nel contesto comunitario. Quindi “più coesione nazionale” e “più Europa politica”, come ricorda il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per avere un’economia più forte.

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