Investimenti pubblici per 40 miliardi

Il periodo di ferie estive che sta per concludersi ha portato la buona notizia dell’aumento delle presenze turistiche, sia italiane sia straniere, nelle nostre località balneari e montane: i primi bilanci provvisori parlano di un +10/15% negli alberghi, resort, agriturismi e così via, complice il timore degli attentati terroristici che ha indotto molti a scegliere il “Belpaese” finora immune da tali drammi. Un’altra bella notizia giunta questa estate, proprio a ridosso di Ferragosto, è stata la decisione del Cipe (Comitato interministeriale programmazione economica) di iniettare la poderosa cifra di 40 miliardi di euro con un vasto programma pluriennale di interventi infrastrutturali e di sviluppo per “aree tematiche”, a partire dal Sud. La spinta al Governo per una decisione di tale portata è derivata, purtroppo, dalla “brutta notizia” di un Pil (Prodotto interno lordo) italiano che rimane stagnante e al di sotto della media europea. I dati Eurostat del secondo trimestre 2016 parlano di un andamento rallentato un po’ in tutta l’Europa: Spagna +0,7, Olanda +0,62, Germania +0,41, Italia +0,01. Per fortuna, e insolitamente, c’è qualche Paese che sta dietro di noi: Austria +0 e Francia -0,04. Ma questo dato trimestrale andrà a sgonfiare pesantemente le previsioni governative che parlavano di un +1,2 annuale: se andrà bene, a dicembre registreremo la metà. Insomma, politici e commentatori una volta tanto hanno concordato sul fatto che per rianimare la nostra economia (e portare lavoro) ci vogliono anche interventi pubblici, oltre alle novità previste dal piano “Industria 4.0” per il settore privato che verrà annunciato in autunno.A grandi linee, le cifre stanziate riguardano piani pluriennali elaborati col supporto del Fondo di sviluppo e coesione (dotazione 25 miliardi), così suddivise: 21,7 miliardi alle infrastrutture, comprese trasporti, porti, autostrade e banda larga; 7,5 miliardi per l’ambiente; 6 per lo sviluppo economico e produttivo; 2,1 miliardi per cultura, turismo e risorse naturali; 357 milioni per lavoro, inclusione sociale, formazione e lotta alla povertà. Molta attenzione e anche molte speranze riguardano, all’interno di queste voci, i “Patti per il Sud”, ai quali andranno 13,4 miliardi di euro. Questi ultimi sono stati sanciti dalla firma del presidente del Consiglio, avvenuta nelle settimane scorse, con diversi presidenti delle Regioni meridionali e i sindaci delle città metropolitane. Per ora hanno firmato in dieci, dalla Regione Campania fino alla Sardegna. Mancano all’appello la Puglia, la Sicilia e le città metropolitane di Napoli, Cagliari, Messina.Sempre per il Sud sono stati assegnati altri 15 miliardi, che però attendono la loro destinazione ufficiale (prossimi anni): sembra che 11,4 di tali miliardi siano destinati alle infrastrutture, di cui il Mezzogiorno continua a mostrare numerose carenze. Per non ingenerare eccessive speranze di “rilancio rapido” del Sud, c’è chi fa notare che nei dieci “Patti” sinora siglati, si totalizzano ben 26 miliardi di euro, ma di cui soltanto il 12% (3,3 miliardi) verranno spesi entro il 2017. Questo perchè i fondi europei derivanti dal Fondo di sviluppo e coesione (Fsc) vengono erogati progressivamente: gli ultimi arriveranno addirittura tra il 2019 e il 2023. In ogni caso al settore trasporto nel Sud andrà il 37% dei fondi, all’ambiente (dissesto idrogeologico, reti e depuratori) il 23% e il resto a edilizia sanitaria, riqualificazione urbana, turismo, cultura, opere pubbliche sociali.Con questi progetti, il Governo sembra viaggiare in accordo con l’Europa, coordinando i piani con il cosiddetto Quadro finanziario pluriennale comunitario (2014-2020), dal quale deriva una parte notevole delle risorse. Entrando un po’ nel dettaglio degli interventi previsti, si può citare il quarto lotto del valico del Brennero e sempre il quarto lotto del “Terzo valico” ferroviario di Genova; la realizzazione del tratto Napoli-Bari; una decina di interventi autostradali (1,4 miliardi per Autovie Venete, Sestri Levante-Livorno, Frejus, Torino-Savona, La Spezia-Parma, ecc.). Quasi 9 miliardi andranno al programma Rfi (Rete ferroviaria italiana), per interventi sulla sicurezza, le nuove tecnologie, le linee regionali, i “corridoi viaggiatori” e i “corridoi merci” per sveltire il traffico rispettivo, il trasporto locale che specie al Sud è molto arretrato. Per quanto riguarda l’ambiente (2 miliardi) verranno spesi piuttosto rapidamente 826 milioni per bonifiche di siti inquinati di interesse nazionale (Sin), 274 per il dissesto idrogeologico, 606 per impianti fognari e depurazioni. Altre risorse per oltre 1,5 miliardi andranno a ricerca e innovazione (412 milioni), Superstrada Jonica (276), “governance” (247), Città metropolitane (206), cultura (133), post-terremoto in Abruzzo (132), statale Paullese (58), metro Torino (40), porto La Spezia (39).Sperando di non annoiare, citiamo ancora la terza corsia dell’autostrada Venezia-Trieste (450 milioni), il tratto in Val Trompia con la A4 (250), l’avvio del tratto in Val d’Astico (spesa totale 850 milioni), la terza corsia sulla A1 tra Firenze e Incisa (100 milioni), la Ragusa-Catania project-financing da 800 milioni. E ancora i diversi piani metropolitani per Torino, Milano, Napoli, Catania, Palermo, oltre al varo di una novità burocratica: la Rosco (Rolling Stock Company) che centralizzerà gli acquisti di treni e autobus per Regioni e Comuni.Verrà istituita con la Cassa Depositi e Prestiti e pare verrà aperta anche al capitale dei privati. Sembra di cogliere negli intenti del Governo il desiderio di sveltire le procedure di finanziamento e avvio delle grandi opere su citate, saltanto le fasi di decisioni doppie o triple fin qui in vigore, dove è possibile, stante la garanzia dei controlli europei. Si intende anche ridurre il peso dei contenziosi tra il committente pubblico (ad es. l’Anas) e le società che vincono gli appalti, che arriva a volte anche al 70% del totale dei lavori, bloccando per anni le opere. L’insieme di questi interventi evidenzia come si voglia agire massicciamente tramite una spesa pubblica qualificata, pur tenendo conto dei nostri vincoli di bilancio. Le speranze del Governo sono quindi riposte nei 40 miliardi di spesa da qui al 2020 e, sul fronte privato, negli interventi del programma “Industria 4.0”.

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