Integralisti dal Pakistan, per Lodi già il secondo caso

Nell’ottobre scorso l’arresto di un 19enne che farebbe parte della cellula Gabar, 12 anni fa l’inchiesta sull’ex Imam di Zingonia

La presenza o anche il semplice passaggio di pakistani a Lodi con apparenti legami con il terrorismo di matrice islamista non è una novità: nel 2010 il fotografo, Franco Bolzoni, per anni al «Cittadino», nello studio che aveva aperto in corso Umberto aveva avuto come clienti due orientali «mai visti prima» che gli avevano chiesto di stampare delle foto da un telefonino, e aveva avuto l’impressione che fossero le immagini di una donna fatta a pezzi. Fu informata la polizia e le immagini erano poi finite agli atti del processo di Sassari a carico dell’ex imam di Zingonia (Bergamo) Muhammad Z. pakistano, classe 1972, ritenuto a capo di una rete che finanziava i terroristi di Al Quaeda in Pakistan. Accuse di terrorismo però poi cadute per l’ex imam e i suoi numerosi presunti complici.

Ma la polizia dietro a quelle foto, che ritraevano una ragazza distesa su una branda, decapitata, con le braccia e le gambe tagliate aveva ricostruito la storia di una coppia di sposini pakistani che sarebbero scomparsi nel Bresciano, puniti, con la distribuzione di quelle immagini nelle comunità islamiche più integraliste, perché la donna aveva fatto il bagno in costume nel lago di Garda. L’omertà e l’elevata mobilità internazionale dei potenziali sospettati aveva impedito di andare oltre, ma proprio Zulkifal intercettato (con il beneficio della traduzione) il 9 settembre 2011 avrebbe detto: «Ho incaricato alcuni affiliati di Gardone Valtrompia di trovare l’uomo e la moglie. Ho dato anche una loro foto mentre fanno il bagno». Secondo la tesi del Gip, non confermata dal processo l’ex imam avrebbe «condannato a morte una coppia di connazionali che aveva violato la legge coranica e reclutato gli assassini, facendoli venire dalla Francia».

Un contesto di pachistani in stretto contatto con connazionali in Francia come nel caso del 19enne Ali H. arrestato proprio a Lodi alla fine dell’ottobre scorso per le indagini della Procura di Genova sulla rete di Hassan Zaher Mahmood, il 27enne che il 25 ottobre 2020 ferì con un machete due persone davanti all’ex redazione di Charlie Hebdo a Parigi, dopo la pubblicazione dell’ennesima vignetta volgare sul profeta Maometto. Hamza doveva diffondere, secondo gli inquirenti, il video di rivendicazione: secondo le indagini il lodigiano era quindi parte della cellula terroristica Gabar in Italia. Non trapela cosa ci facesse a Lodi, forse non si faceva notare.

Perché l’insospettabilità è ritenuta essenziale da questi (presunti o aspiranti) terroristi: l’asserito reclutatore della cellula Gabar in Italia, il 25enne Tahir Yaseen, che con lo status di rifugiato aveva vissuto a Chiavari dal 2015 al 2020, per trasferirsi poi a Fabbrico (Reggio Emilia) dopo una detenzione per porto illegale di machete in Francia, intercettato, avrebbe detto: «Qui in Italia non puoi creare un gruppo come in altri posti e non puoi fare quello che vuoi, se ti scoprono sei fottuto». Secondo il gip di Genova, la cellula Gabar era “attiva e vitale” e “solo l’intervento anticipato delle forze dell’ordine - con i 14 arresti dei pm genovesi e altri 5 nei mesi scorsi in Spagna - ha verosimilmente bloccato azioni terroristiche”.

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