IL MESSAGGIO DI FINE ANNO Mattarella si congeda dagli italiani con un discorso di fiducia e speranza

Il commiato del presidente: «Non mi sono mai sentito solo, l’Italia crescerà»

Coinvolgimento ed emozione, sentimenti che «sono accresciuti dal fatto che, tra pochi giorni, come dispone la Costituzione, si concluderà il mio ruolo di Presidente». Sergio Mattarella si congeda dagli italiani e nel suo messaggio di fine anno - ultimo del mandato da capo dello Stato - sceglie due parole chiave: fiducia e speranza. Un discorso asciutto, poco più di 15 minuti pronunciato dallo studio alla Vetrata del Quirinale, senza leggio, in piedi con alle spalle la bandiera italiana e quella dell’Unione europea. E sullo sfondo la finestra che affaccia sugli splendidi giardini del palazzo. «Sono stati sette anni impegnativi, complessi, densi di emozioni», dice, ma «anche nei momenti più bui, non mi sono mai sentito solo». Al fianco dell’inquilino del Colle e della Repubblica, sempre in prima linea, i sindaci e i presidenti delle Regioni che rappresentano «il volto reale di una Repubblica unita e solidale» quel «patriottismo concretamente espresso nella vita» del nostro Paese, scandisce.

Agli italiani, tuttavia, vanno gli elogi e i ringraziamenti di Mattarella, che con «il comportamento responsabile» hanno permesso al Paese di avviarsi «sulla strada della ripartenza; con politiche di sostegno a chi era stato colpito dalla frenata dell’economia e della società e grazie al quadro di fiducia suscitato dai nuovi strumenti europei». La pandemia «ha sconvolto il mondo e le nostre vite», dice il capo dello Stato, e se oggi possiamo vivere le festività natalizie in modo diverso da quelle del 2020 «seppur con prudenza e limitazioni», lo dobbiamo ai «vaccini che hanno salvato tante migliaia di vite, hanno ridotto di molto - ripeto - la pericolosità della malattia». Anche qui sono pesate le scelte dei cittadini che si sono fidati «della scienza e delle istituzioni» scegliendo «di vaccinarsi: la quasi totalità degli italiani». «Ricordo la sensazione di impotenza e di disperazione che respiravamo nei primi mesi della pandemia di fronte alle scene drammatiche delle vittime del virus. Alle bare trasportate dai mezzi militari. Al lungo, necessario confinamento di tutti in casa. Alle scuole, agli uffici, ai negozi chiusi. Agli ospedali al collasso. Cosa avremmo dato, in quei giorni, per avere il vaccino?», si chiede l’inquilino del Colle, bacchettando nuovamente chi oggi sceglie strade diverse da quelle che ricerca e scienza «ci hanno consegnato, molto prima di quanto si potesse sperare». «Sprecare» questa opportunità, tuona «è anche un’offesa a chi non l’ha avuta e a chi non riesce oggi ad averla».

L’Italia può farcela, «l’Italia crescerà» dice con forza il presidente, mettendo in evidenza come la ripartenza della nazione è stata possibile grazie anche all’unità «istituzionale e morale su cui fonda la Repubblica». Per questo Mattarella, tracciando il bilancio del suo settennato, rimarca quali sono i doveri da assolvere per un capo dello Stato. «Ciascun Presidente della Repubblica, all’atto della sua elezione, avverta due esigenze di fondo: spogliarsi di ogni precedente appartenenza e farsi carico esclusivamente dell’interesse generale, del bene comune come bene di tutti e di ciascuno. E poi salvaguardare ruolo, poteri e prerogative dell’istituzione che riceve dal suo predecessore e che - esercitandoli pienamente fino all’ultimo giorno del suo mandato - deve trasmettere integri al suo successore». Una sorta di cassetta per gli attrezzi che Mattarella lascia a chi sarà il suo successore, ma anche un identikit a chi dal prossimo gennaio dovrà sceglierlo.

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