Il coraggio di far prevalere la vita

Il successo della delegazione italiana alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro,va ben oltre lo Sport e i meriti sportivi,di per sè già straordinari, dei singoli atleti che sono saliti sul podio,tra cui anche Paolo Cecchetto,ciclista paraplegico che ben conosce le strade del Lodigiano. È la risultante di tutta una serie di fattori positivi (sportivi,educativi ed economici) che non possono che far piacere,dando una ventata di gioia ed entusiasmo in un momento e in un mondo ,soprattutto quello mediatico, dove sembra prevalere solo tristezza e noia,quando addirittura non orrore,come in fatti recenti di cronaca. La riflessione più importante,immediata direi, è senza dubbio per queste persone,prima ancora che atleti,i quali ,affetti da rilevanti menomazioni fisiche dovute per lo più a fatti traumatici e devastanti, hanno saputo reagire ad una condizione di vita drammatica,con forza e determinazione trovando nello sport (quello autentico mi verrebbe da dire),una ragione esistenziale che gli eventi avversi della vita avevano seriamente compromesso. Essi sono d’esempio a quanti tra noi si fanno abbattere da avversità,anche meno rilevanti,che incontrano nel loro cammino. A volte il chiudersi in situazioni di dolore e malattia,l’immobilismo di fronte alle contrarietà della vita,seppur comprensibile, non favorisce quella giusta e necessaria reazione,che senza arrivare ai traguardi dei super- atleti di cui stiamo parlando,ci consente però di continuare a vivere in situazione non solo di quasi normalità,ma anche di opportunità ed aiuto per gli altri.Ciascuno di noi conosce certamente persone che colpite duramente da disgrazie o disavventure varie hanno saputo reagire dedicandosi non necessaramente allo sport,ma a sé stessi, alla famiglia,al volontariato,alla comunità.

La seconda considerazione più di carattere generale e quasi «politico» e questa. Gli atleti,tutti gli atleti,per conseguire risultanti soddisfacenti,se non proprio eccellenti,hanno bisogno di avere da un lato la possibilità di allenarsi in impianti efficienti e funzionali e dall’altro di sentire un sostegno umano(non solo familiare) che dia senso a quello che si sta facendo;un qualcosa che vada al di là della considerazione positiva e che sia condivisione,se non proprio «tifo» (quello giusto sia ben chiaro) E così nella bistrattata Italia,dove siamo pronti ad addossare alla mancanza di questo,quello e quell’altro ancora se le cose non vanno per il verso giusto (per noi ovviamente),dove i cervelli migliori vanno all’estero perché qui non ci sono le strutture idonee,dove lo sport è solamente business e gli atleti sono viziati e strapagati ecc.ecc.(solo per citare due situazioni ma ce ne sarebbero a decine e tutte vere ),ebbene in questa Italia accade che in percentuale i successi sportivi per disabili fisici (ma poi parleremo anche di quelli mentali) siano decisamente superiori a paesi ben più ricchi e ritenuti civilmente più avanzati.E quindi significa che si sa ,volendo, destinare risorse a obiettivi giusti che permettono anche a chi non ha le possibilità economiche di Zanardi (persona eccezionale sotto tutti gli aspetti) di conseguire risultati più che brillanti e che esiste in Italia una attenzione generale,quasi una coscienza collettiva,socialmente «abbastanza» ben orientata.L’ una e l’altra cosa necessiterebbero sicuramente pero’ di essere potenziate.

L’ultima considerazione é per quella parte di disabilità, quella intellettiva,che pure ha le sue manifestazioni sportive,molto presenti anche a Lodi e nel Lodigiano, (Special Olympics)ma che non ha mi pare le stesse attenzioni delle Paralimpiadi,nonostante come programma sportivo sia presente per allenamenti e competizioni in moltissimi paesi e coinvolga milioni di ragazzi e famiglie nel mondo

Forse che la disabilità intellettiva non sia ancora completamente «sdoganata» e quindi meno accettata di quella fisica nell’immaginario collettivo? In Italia sono stati fatti sicuramente passi importanti in questa direzione, sia sportiva sia sociale,ma altrettanti occorre farne.

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