I “gatti grassi” messi a dieta dalla Svizzera

È ragionevole pagare al capo di un’azienda uno stipendio mille volte superiore a quello di un suo impiegato? Ed è ragionevole, per un’azienda, impiegare una simile quantità di risorse con le quali, appunto, si potrebbe stipendiare un’intera fabbrica invece che un uomo solo? La logica di un bimbo direbbe di no; la logica di quest’ultimo decennio, invece, ha detto sì. I top manager (o “gatti grassi” come li chiamano oltreoceano) di molte, troppe aziende e banche, guadagnano in un anno quel che un colletto bianco percepisce in una ventina di vite lavorative. Si dirà: sono manager eccezionali, oppure è il frutto del loro merito. E qui sta la logica che ha portato gli svizzeri per primi (con un referendum popolare) a tagliare le unghie a quei gatti grassi.Perché nemmeno Superman avrebbe capacità proporzionate a tali stipendi, che vengono pagati anche se le cose vanno male, o così così. Per non parlare delle splendide buonuscite accordate a manager incapaci pur di riuscire a rimuoverli. E magari, per far quadrare i conti, quelle stesse aziende licenziano o mettono in cassa integrazione anche migliaia di persone. Questo andazzo ha da anni travalicato le Alpi e trovato terreno fertile pure nel tessuto economico italiano. Non è solo questione di giustizia, che pure… Il meccanismo per ingrassare i felini, magari senza dare troppo nell’occhio, è semplice: si chiama “stock option”. Oppure, il vecchio premio di produzione. Al raggiungimento di determinati obiettivi, scattano bonus da favola. O, nel caso di “stock option”, si assegnano azioni aziendali che si potranno vendere dopo un tot di tempo o quando la quotazione in Borsa arriverà a un certo livello. Quest’ultimo meccanismo ha portato, negli anni scorsi, a “drogare” i corsi azionistici e, in definitiva, l’operatività aziendale tutta concentrata sui risultati del prossimo trimestre, e non su una sana crescita valutata nell’arco di diversi anni. Tutto e subito, e ancora oggi il mondo sta pagando questa ingordigia. Perché la crisi finanziaria non nasce dal niente, ma dalla voglia di fare enormi profitti subito, con strumenti finanziari che hanno inquinato l’intera economia mondiale. Gli svizzeri, ma sono solo i primi, hanno deciso di dire basta. I mega-compensi dovranno essere decisi dalle assemblee degli azionisti e valutati secondo i risultati ottenuti di anno in anno. Perché di brutto c’era e c’è pure il meccanismo con cui nascono, queste ingiustizie. I ristretti consigli di amministrazione di grandi aziende e banche decidono autonomamente di assegnarsi lauti stipendi o meravigliosi bonus. Così meravigliosi che basta un anno, ad un top manager pure incapace, per sistemare se stesso e la sua famiglia per diverse generazioni. Ma noi vorremmo sottolineare un altro aspetto, pur considerando un principio generale che si rischia di travolgere con queste considerazioni. E cioè che il merito va comunque premiato, che chi ha grandi responsabilità deve avere adeguati compensi; che non si può pagare i manager delle aziende statali dieci volte meno di quelle private, altrimenti i migliori se ne andranno via. Quindi, fatto salvo il principio del merito, deve però essere contemperato da quello dell’equità, o almeno della sana gestione aziendale. Strapagare non è solo iniquo, ma anche dannoso. Per dare ad uno, si sacrificano cento: cioè chi l’azienda la fa realmente camminare, chi produce, vende, amministra. Sono tutti gli altri lavoratori a sobbarcarsi il peso di simili emolumenti, perché quando poi i costi si sono rivelati eccessivi, ecco che il nuovo top manager invoca il “taglio dei costi”. Indovinate quali.

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