I compiti delle vacanze? Non esagerare

«Studiare sì. Ma quante cose si imparano con una passeggiata nel bosco?». A dirlo è Philippe Meirieu, scrittore e pedagogista francese, che non mostra incertezze nell’assumere una sua posizione su un problema dai risvolti anche socio-famigliari. Quello dei compiti delle vacanze è un problema annoso che si ripropone ogni anno allorché si scoprono e si confrontano due culture contrapposte. Da una parte i tanti insegnanti fautori delle necessità di non lasciare i ragazzi nel vuoto assoluto per circa tre mesi, dall’altra la gran parte dei genitori che vede nello studio estivo, talvolta imposto a dismisura, un inutile stress, male assorbito dai ragazzi in un periodo di riposo, un periodo che richiama tutti a scelte più o meno razionali su come vivere il tempo libero. A confrontarsi su tesi contrapposte non sono solo genitori e professori, ma anche pedagogisti, scrittori, politici, uomini di cultura tutti uniti da un concetto base: un eccessivo impegno estivo rischia di alimentare una demotivazione nello studio. In poche parole mi chiedo se hanno ragione i professori ad assegnare compiti per le vacanze o hanno ragione i genitori a sottolineare l’importanza del riposo estivo? A tal proposito i nostri padri latini ben sintetizzavano in: «otium et negotium». Ovvero vivere in ozio coccolati dal dolce far niente o nella negazione di esso e vivere in «faccende affaccendati»? Ora senza arrovellarsi tanto, mi chiedo: è mai possibile che non ci sia una terza strada da poter percorrere? Certo che lasciare completamente liberi i ragazzi da particolari impegni o vederli addormentati in un vuoto culturale per mesi, o ancora, vederli impegnati solo qualche giorno prima dell’avvio del nuovo anno scolastico, sarebbe poco edificante. Ma altrettanto poco edificante è tornare sui banchi di scuola a settembre e scoprire che molti insegnati non hanno né voglia, né tempo per correggere i compiti assegnati per le vacanze. Di fatto il problema sollevato da Philippe Meirieu esiste, eccome. C’è proprio da chiedersi se è più corretto impegnarsi durante le vacanze in interminabili compiti ricevuti dai vari prof. o è più salutare trovare di che impegnarsi in attività sociali, culturali o di volontariato che offrono innumerevoli spunti di approfondimento non meno impegnativi di quanto possano essere certi esercizi. Una «passeggiata nel bosco» e magari come suggerisce Montale «ascoltare tra i pruni e gli sterpi - schiocchi di merli, frusci di serpi», potrebbe offrire numerosi spunti di riflessione se vissuta correttamente e con un interesse conoscitivo e comunque sempre meglio che un’estate trascorsa davanti alla play station senza nessun altro stimolo culturale che non sia rappresentato da lotte e da pallottole o da salti e assalti. La questione comunque pone seri interrogativi. In definitiva sono utili o inutili i compiti estivi? E’ bene dare più spazio alle schede preconfezionate immesse sul mercato dalle tante case editrici o dare più spazio alla creatività dei ragazzi? E ancora. E bene dare spazio ai compiti da svolgere con l’aiuto dei genitori sotto l’ombrellone o concedere più tempo per annoiarsi tra una fetta d’anguria e una partitella sulla sabbia? Un problema decisamente amletico. Non dimentichiamo che già durante i mesi di scuola molti ragazzi vivono un ritmo incessante in quanto a impegni. Ci sono ragazzi impegnati sui campi di calcio, ragazze impegnate nella danza, poi ci sono quelli che vanno a solfeggio e poi quelli che vanno in palestra, poi ci sono quelli che vanno a lezioni di lingua e poi quelli che vanno a lezioni di canto.Tutto è ritmato, tutto incastrato tra un giorno e l’altro, tra un’ora e l’altra. A sostegno dei diversi appuntamenti scendono in campo i genitori colmi di aspettative sui figli che se non rispettate si abbandonano a micidiali frustrazioni. Un ritmo di vita altamente schematizzato, ben organizzato che non ammette errori, pena il calo di rendimento in una delle varie attività in cui si è impegnati, studio compreso. Poi finalmente arriva l’estate. E’ in questo periodo che tutto termina. Terminano le attività didattiche, finiscono gli allenamenti, si interrompono le lezioni di canto, di lingua, di strumento. Cosa rimane? Per molti insegnanti rimangono i compiti per l’estate convinti che ciò rappresenti un ottimo esercizio per allontanare il timore di ritrovare a settembre ragazzi svuotati nella mente, con le idee lasciate al caldo in riva al mare o al fresco in qualche baita. Timori che si traducono in concrete proposte fatte di temi, riassunti, e poi esercizi di calcolo, di grammatica, di lingua straniera. Ce ne sono anche di più sofisticati. E allora si parla di traduzioni, di analisi logica, di analisi del periodo. Un incubo che accompagna parecchie famiglie proprio in un periodo che di incubi non ce ne devono essere. Anche in questi casi si parla di «mal di scuola» vissuto da una significativa percentuale di alunni, soprattutto delle elementari, che si traduce in stati d’ansia, tensione per certi esercizi difficili, paura di non farcela per il giorno del rientro a scuola. Uno stato emotivo che vede il coinvolgimento dei genitori non certo entusiasti nel vedere trasformata una vacanza in un ennesimo periodo scolastico diviso tra il caldo da sopportare, il libro degli esercizi da trovare, l’aiuto da assicurare nello svolgimento dei compiti, il sostituto del medico di famiglia da rintracciare, il farmacista a cui ricorrere per il mal di pancia. E questo sarebbe un periodo di riposo? Una vacanza salutare? Personalmente sono dell’avviso che la moderazione può essere la risposta giusta. Se è da escludere un’estate in ozio, abbandonati nel dolce far niente, sorretti solo dalla convinzione che spiaggia, sole e vento possano, da soli, rappresentare la giusta risposta alla necessità di riposo, è anche da escludere costringere i ragazzi a districarsi tra «le sudate carte ove il tempo mio primo e di me si spendea la miglior parte». Non lo apprezzerebbe nemmeno il Leopardi. E allora dov’è la risposta? Nella moderazione. Pochi compiti, ma buoni. Durante l’estate anche se ci si annoia per qualche giorno, non c’è niente di male. Ce lo ricorda anche Socrate quando ci dice che «l’ozio più che il padre dei vizi, è il fratello della libertà».

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