I 150 anni, una consegna per l’avvenire

Compiaciuto, il presidente della Repubblica ha chiuso al Quirinale le celebrazioni di “Italia 150”. Una chiusura che in realtà ha voluto essere un’apertura a un’“opera del rilancio del nostro patrimonio unitario”, che giustamente è stata indicata come una sorta di consegna permanente per l’avvenire. Questo, d’altra parte, è tanto più vero dopo le turbolenze finanziarie ed economiche, che sembrano avere passato il picco più preoccupante, ma sono ancora ben lontane dall’essere risolte. D’altro canto non è banale la coincidenza che le celebrazioni dell’unità si chiudono con un governo che di fatto è di “unità nazionale”. L’anno centocinquantesimo infatti è stato caratterizzato da una fibrillante cronaca, da una crisi gravissima, che appunto sottolinea la necessità di ritornare ai fondamentali.Muoversi nella crisi e nella lunga fase di ristrutturazione, che si delinea a tutti i livelli, richiede appunto, da un lato, un di più di consapevolezza, dall’altro, un di più d’investimento. In realtà, questo passaggio celebrativo ha messo bene in evidenza quanto entrambi i piani siano necessari e si debbano tenere insieme. L’Italia ha bisogno della sua identità e, d’altra parte, la deve mettere in gioco, la deve immediatamente spendere in un quadro europeo che ha bisogno di una prospettiva adeguata e in un orizzonte mondiale che non dà nulla per scontato, come dimostrano le vicende che, dall’India all’Africa, coinvolgono nostri compatrioti, oltre che le stesse missioni militari in cui l’Italia è impegnata. La riscoperta e il rilancio del nostro patrimonio unitario peraltro è avvenuta nel segno della pluralità: le iniziative celebrative sono state migliaia e la stessa cerimonia conclusiva, prima del discorso di Napolitano, era stata giocata proprio sulla pluralità dei registri, dall’attore al giornalista, dalla scrittrice agli scolari. Solo valorizzando e armonizzando, organizzando, il naturale pluralismo dell’Italia e degli italiani si potranno raggiungere quei risultati in termini di coesione interna e di proiezione esterna che l’Italia deve oggi con grande urgenza nuovamente produrre, se la crisi si vuole superare davvero. Da questo punto di vista è anche possibile una lettura più serena e realistica della stessa nostra storia unitaria. Molti sono stati i segni di un approccio maturo, che superi finalmente tanti stereotipi e tante retoriche, spesso contrapposte in modo sterile. Anche il recupero delle identità degli antichi Stati, poi necessariamente proiettati nel quadro unitario, merita di essere sottolineato, per valorizzare le diversità, comprese e ricondotte al senso del bene comune. La cifra sintetica che può qualificare il 151° anno che si apre è insomma il tempo di una sobrietà convinta, fondata sulle idee, sui principi e sulla rettitudine personale. Perché c’è da lavorare, molto.

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