Ha senso chiudere le scuole?

A scuola è sempre meglio andarci. Sono contrario alle troppe vacanze, alla chiusura troppo prolungata di Natale e ad alcuni “ponti” che costringono le lezioni a continui stop a singhiozzo, a tutto svantaggio dell’apprendimento dei bambini. Gli scolari del terzo millennio sono sempre più bombardati da messaggi televisivi e multimediali che intaccano i regolari processi di apprendimento, quelli canonici trasmessi dall’istituzione scuola. Un tempo l’apprendimento si faceva anche per strada, nei cortili del paese, all’oratorio; era una crescita naturale che teneva conto di modelli educativi stabili e riconosciuti: la figura dei genitori, il parroco, ma anche figure di adulti del paese, di gente conosciuta e riconosciuta che si incontrava in strada, luogo deputato al tempo libero dei bambini, un tempo libero in tutti i sensi: dalla troppa tv, dai pc, dai telefonini.

Da anni questo non succede più; le figure sopra citate hanno perso gran parte della loro valenza, non trasmettono più sicurezza e autorità, nessun bambino finita la scuola gira più da solo per il paese, tranne i bimbi extra comunitari. La pubblicità e la Tv, i video games e i computers, i cellulari e un’ampia gamma di corsi sportivi privati si sono inseriti prepotentemente nel processo educativo, spesso senza mediatori e senza chiedere permesso. I bambini, ma non solo loro, li subiscono meccanicamente, a volte traumaticamente senza rendersene conto.

La scuola resta allora per tanti giovanissimi l’unica vera agenzia educativa a cui fare riferimento; l’unica deputata da sempre a instillare valori, educazione, senso di responsabilità e rispetto dei ruoli, oltre naturalmente a istruire e acculturare.

A scuola si accolgono tutti i bambini senza alcuna differenza, è a scuola che tutti parlano italiano e si sentono italiani.

A scuola fortunatamente bisogna andare e questo è un grande bene: tutti i soggetti, genitori, studenti, docenti, devono esserne ben consapevoli.

Nella scuola si cresce nel rapporto con gli altri nel rispetto di regole condivise, si impara a giocare e a relazionarsi con culture diverse, si socializza, si passano otto ore di una giornata ricca e varia che fa star bene i vari attori, impegnati a recitare copioni aperti e non solo impositivi.

Se la scuola, e la primaria in particolare, è tutto questo, allora resta l’unico approdo educativo e formativo serio e forte, riconosciuto e riconoscibile. Per cui è veramente grave dover sempre spezzare le lezioni causa vacanze, ponti e ponticelli; interrompere più volte quei processi formativi già così difficili da portare avanti è un atto diseducativo.

Se poi consideriamo che in un anno scolastico ci sono le assenze fisiologiche causa influenze varie, i week end lunghi con qualche lunedì di riposo, le elezioni e i referendum, vediamo che i giorni veri di lezione si riducono notevolmente, rallentando e rendendo più difficoltoso il processo di crescita globale dei bambini. Non ultimo problema è poi quello delle assenze per malattia dei docenti, che a causa dei tagli di risorse spesso non vengono più sostituiti dai supplenti; in tal caso i bambini vengono suddivisi in classi diverse ed il regolare apprendimento ne risente.

Ecco perché sono del parere di non chiudere con troppa facilità le scuole come se si trattasse di luoghi qualunque, come fossero semplici immobili sempre a disposizione in caso di bisogno e non i luoghi privilegiati dove si aiutano a crescere i cittadini dell’Italia che verrà.

Vorrei pure che si considerassero meglio le feste nazionali. Esse sono eccezionali momenti educativamente importanti e preziosi per tutti, ma specialmente per i giovanissimi. Le feste deputate da sempre a far riconoscere ed apprendere la storia patria, il 25 Aprile e il 4 Novembre, devono tornare ad essere momenti di partecipazione di tutti gli scolari e studenti, da condividere insieme con i docenti e la cittadinanza tutta.

Nei nuovi programmi della scuola primaria in quinta elementare si studiano gli antichi romani. Un’incongruenza, un vero assurdo educativo che allontana drammaticamente i bambini dalla comprensione della contemporaneità e dal significato della partecipazione alla storia nazionale.

Se il legislatore ha ritenuto, a torto, di depennare la storia moderna e contemporanea dai programmi della fascia di età scolare in cui meglio la si recepisce, anche perché ci sarebbe ancora la possibilità di avere in classe i reduci e i testimoni dell’epoca, che senso ha chiudere le scuole e fare vacanza giovedì 17 marzo? Quali equilibrismi dovrebbero fare i docenti per far capire agli allievi il perché e il significato della festa?

D’altro canto, pagine di storia educativamente assai significative come la “Giornata della memoria” sono fortunatamente ricordate in tante scuole di ogni grado in maniera eccellente durante le normali ore di lezione.

Siccome solo stando di più a scuola tutti insieme, e non lasciando i bambini sul divano davanti alla tv, potremo dire di avercela messa tutta per cercare di formare tanti buoni cittadini di domani, io direi di fare meno vacanze; e di rivedere con urgenza i programmi di storia nelle scuole dell’obbligo, per non coinvolgere passivamente i bambini in feste che non riconoscono e non riescono a capire, col rischio di appiattirne il grande significato storico.

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