Gorla e il suo no a Minzolini al Tg1

«Non ho votato contro Minzolini, ma per l’applicazione della legge». Così Alessio Gorla, il lodigiano nel consiglio d’amministrazione della Rai, spiega il perché del suo decisivo “sì” alla rimozione del direttore del Tg1, finito nella bufera per l’accusa di peculato mossagli dal tribunale di Roma per presunto abuso della carta di credito aziendale. Una vicenda che, martedì, ha letteralmente spaccato il cda della Rai, e sulla quale il voto del consigliere lodigiano è stato l’autentico ago della bilancia: Gorla, infatti, è stato il solo tra i cinque consiglieri in quota Pdl (la maggioranza nel cda Rai) a non difendere Minzolini, creando di fatto quell’equilibrio tra pro e contro che ha reso “doppio” il peso del voto per l’allontanamento espresso dal presidente Garimberti.

«Ma ciò che conta è l’interesse dell’azienda, non l’appartenenza politica» scandisce Gorla al telefono dalla Capitale spiegando i motivi del suo voto: «La decisione si basa su una legge, la 97 del 2001, che definisce la Rai un ente a prevalente partecipazione pubblica, e sulla quale non essendo un avvocato ho chiesto un’interpretazione a un ufficio legale. Il responso, confrontato con quelli di altri studi legali, mi ha convinto che questa legge andasse applicata e che il dottor Minzolini andasse allontanato, mentre altri colleghi hanno dato un’interpretazione differente, e si è creata questa frattura. Ma il mio voto non significa un abbandono della maggioranza o dal Pdl, alla cui quota continuo ad appartenere». Nessun “golpe” politico, insomma, né tantomeno un affronto alla professionalità di Minzolini, che Gorla anzi ricorda di aver difeso, e tutt’ora in parte difende: «È un buon direttore, che ha quasi sempre battuto il suo diretto concorrente (il Tg5, ndr). Due settimane fa l’ho difeso sull’Ansa per gli ascolti in diminuzione, dimostrando come la colpa non fosse sua, ma di come era stato programmato il palinsesto. La flessione del Tg1, peraltro, dipende da mutate condizioni, come l’aumento di altre forme di comunicazione, come i canali “all news” e altri mezzi di informazione che possono raggiungere i cittadini in diversi modi. Ciò ha fatto sì che il Tg delle 20 non sia più l’appuntamento “spasmodico” per chi voglia sapere cosa accade nel mondo». Reso l’onore delle armi al direttore esautorato, Gorla è comunque convinto che il suo successore, Maccari, sia l’uomo giusto: «È un ottimo professionista, che è stato anche il vicario al Tg1 per 15 anni con direttori di diverse tendenze politiche, e tutti l’hanno tenuto. Ha grande esperienza e in questa situazione caotica ho votato convinto per un uomo che ne riprendesse in mano le redini».

Alle difficoltà generali della tv di Stato, invece, Gorla è convinto che la Rai possa rispondere con il nuovo piano industriale, con «grandi cambiamenti strutturali che ci consentiranno di essere più efficienti, come le direzioni “a matrice”», ovvero quelle per “genere”, dalle fiction ai programmi per ragazzi, a disposizione di tutte le reti. L’elenco delle novità, invece, non dovrebbe comprendere il clamoroso ritorno di Enrico Mentana, ipotizzato da alcuni addetti ai lavori dopo l’annuncio di “Mitraglia” di volersi dimettere da La7 per la polemica con i sindacati interni: «Mi spiace, ma credo che si chiariranno e che troveranno una soluzione, risolvendo il malinteso. Un suo ritorno in Rai? Non mi risulta». Chissà: per ora, siamo al Mai dire Rai.

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