Giovani, le parole che mancano

Gli uomini non hanno mai abitato il mondo, ma sempre e solo la descrizione che di volta in volta le parole hanno dato di esso. Forse è per questo se autorevoli scrittori, studiosi, intellettuali, autori di libri di interesse immediato (Roncoroni, Galimberti, Pittano, Mastrantonio, Sabelli Fioretti, Benzoni, Bencivenga, Severgnini, Casalegno, Bartezzaghi, Lanza, Manzoni e Dalmonte ecc.) si dedicano alla raccolta di parole e di significati che poi ordinano in dizionari, abbicci, manuali, glossari, ecc, dando impulso alle parole nuove e non nuove o ai confini, a riflessioni e visioni sui modelli di vita, cultura, mutamenti di mentalità, politica, economia, socialità, dimensione del potere e del controllo. Attraverso le “parole” si mettono a fuoco concetti che danno connotazione e rilevanza a regole pubbliche e private dei processi di costruzione sociale ecc, si getta uno sguardo sulle vicende degli uomini e l’andamento delle cose. A questo lavorio di organizzazione e di elaborazione culturale sembrano però sfuggire le parole chiave che riguardano significati e distinzioni del mondo giovanile: ideali, modelli, riti, status, griffe, parole d’ordine ma anche precariato, disoccupazione, vincoli e obblighi economici, aspirazioni, obiettivi, che insieme ad altre “parole” possono dare nel gioco dei concatenamenti chiamati cultura; vita a idee e ad altre “parole”, magari critiche, da far conoscere l’ effettività giovanile percorrendone i tracciati, senza inciampare nei luoghi comuni della ribellione e della politica. L’ attenzione che accompagna la comunicazione sul mondo giovanile, pare a noi (impreparati), aggiustata sulle rilevazioni statistiche: la demografia, i livelli di studio, di’occupazione, di consumo, le imprese, il divertimento, la moda, il raffronto con altri Paesi. Tutte cose fornite dal Bollettino di Statistica nazionale. O sul “gerghese”, fugacemente registrato e commentato col sorriso.. Importanti ma non sufficienti, al di là della confezione, per avere un quadro descrittivo ampio della “condizione giovanile”.Va da sè, che non ci arroghiamo accenti critici su come gli studiosi compilano le così dette parole che contano”. Registriamo solo come tra le cose richiamate nei loro libri e che servono a orientare tra il vero e il falso, il giusto e l’ingiusto, il pregevole e lo spregevole, mancano le “parole” di attenzione e di riferimento al mondo dei giovani. “Parole” che ne indichino la direzione, il senso, il fine. Se verso la salvezza o disgregazione sociale.E’ vero, che ci sono sempre studi importanti e completi in proposito: il Rapporto dell’Istituto Toniolo La condizione giovanile in Italia,( ed Il Mulino, Bologna, 2014) e quattro Report di Vita e Pensiero, I giovani e il lavoro; I giovani, scuola e università; I giovani, in viaggio sul territorio; L’impresa dei giovani che forniscono risultati di indagini sulla condizione giovanile e su quel corso politico che sembra aver sempre più surrogato il welfare con la famiglia e i diritti dei giovani con il familismo. Ovviamente quando la famiglia non si trova in condizioni di disagio o povertà. Da qualche giorno, c’è anche l’ Abc dei comportamenti devianti pubblicato dal Ministero della Giustizia in cui tutta una serie di parole viene segnalata in chiave problematica, individuale e sociale. Quali termini utilizzano i giovani quando navigano in internet? Cos’è una action fraud? E il baiting, il groming, lo sniffing ? Quali comportamenti si devono riconoscere dietro a queste parole e alle tante altre individuate dall’Osservatorio Open Eyes e dal Miur? La condizione strutturale del mondo giovanile estrapolabile dai vincoli e dai requisiti della condizione generale dovrebbe fornire, oltre i grafici e gli istogrammi e le “parole” dei cyberbulli, quelle “parole” che fanno evitare a ciascuno di noi di vedere le cose a modo suo, in grado di offrire un “retto vedere” e non solo un “retto dire” emancipato dai “modi di dire”.E’ senz’altro importante conoscere (il nostro è solo un esempio) quanto sono le tasse universitarie, quante le borse di studio assegnate, il numero dei dottorati, il dilagare di stages gratuiti, le supplenze nelle scuole, la pratica dei master a pagamento, il numero dei non retribuiti negli studi professionali, il rapporto tra giovani e popolazione totale, la disoccupazione dei neolaureati eccetera. Costituiscono un ordito, ma non danno una idea compiuta, servono più a incentivare la retorica dei competitori politici.Lo spessore che chiamiamo cultura lo si ha nei libri, nelle “parole”. Sono esse che mettono in scena l’intensità che di volta in volta ha toni di fascinazione e ammirazione, e altre volte di indignazione e rabbia. Come quando i giovani producono idee e percorsi d’invenzione, scoperta scientifica, creazione artistica; oppure si perdono in orizzonti di rischi e di smaccate ingenuità, come quelle segnalate dal ministero di Grazia e Giustizia.A parte istruzione, mestieri, precariato, disoccupazione, consumi, festival, volontariato, mobilità, viaggi, tempo libero - parole largamente usate per i giovani ma più per dare impulso significativo ad altre categorie -, non sembra ravvisabile tra i nostri intellettuali attenzione nel registrare le “parole” che servono a capire le distinzioni del mondo giovanile, a esaminarne i contenuti e a uscire dalla limitata prospettiva offerta dai media, dalla politica e dall’osservazione di settore. Se, come vuole il filosofo, tra le cose che abitano il mondo, quelle più descrittive, le “parole” appunto, sono quelle che consentono di orientare, la limitata attenzione data alla essenza e alle relazioni della condizione giovanile svela o una negligenza o una pregiudiziale o qualche altro fenomeno. Qualcosa, che in ogni caso impedisce di avere utili strumenti per studiare e interpretare il mondo giovanile e la sua condizione, aggiungendovi di tanto in tanto qualche spezia sulle diversità, le stabilità, le lacerazioni e i conflitti. L’impressione è che prevalga un certo conformismo. Si evitano le parole che riguardano i giovani per abusarne di altre. “Prima che siano loro ad abusare di noi”.

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